“Conosciamo la Carta di Treviso sulla tutela dell'infanzia, la Carta di Roma sul rispetto per i migranti, conosciamo altri documenti deontologici che i giornalisti si sono dati nel corso degli anni, ma poco o nulla sappiamo della Carta di Trieste”. Così Carlo Muscatello, presidente dell’Assostampa del Friuli Venezia Giulia e membro della Giunta esecutiva della Fnsi, all’indomani del corso di formazione sulla Carta deontologica che prende il nome dal capoluogo di regione.
“Si tratta di un ‘codice etico per i giornalisti e gli
operatori dell’informazione sulle notizie concernenti cittadini con disturbo
mentale e questioni legate alle salute mentale in generale’ – precisa
Muscatello, che è stato redatto a Trieste, nel 2010, nello splendido parco di
San Giovanni che un tempo ospitava un manicomio: quello dove si realizzò la
‘rivoluzione basagliana’ che ebbe il suo approdo normativo nella Legge 180. La
Carta di Trieste fu fatta propria dal consiglio nazionale dell’Ordine dei
Giornalisti e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Sono passati
cinque anni. Ma su quel documento così importante è calato il silenzio dentro e
fuori la categoria. Molti, come si diceva, non ne conoscono nemmeno
l'esistenza”.
Per questi motivi l'Assostampa del Friuli Venezia Giulia si è fatta promotrice
di un incontro al Circolo della Stampa di Trieste, che l'Ordine regionale dei
giornalisti ha inserito fra i corsi di formazione professionale, con lo
psichiatra Peppe Dell'Acqua, uno degli "eredi" di Franco Basaglia, per
tanti anni direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste, la
giornalista Gabriella Ziani, i presidenti dell'Ordine e dell'Assostampa
regionale e diversi colleghi.
"Non sono qui per dire cosa dovete o non dovete scrivere - ha detto fra le
tante cose Dell'Acqua -, vi invito solo a ricordare che davanti a noi, davanti
a voi c'è sempre una persona. La Legge 180 non ha chiuso solo i manicomi: ha
restituito diritti anche a persone affette da disagio o malattia mentale. Si
badi bene, senza decolpevolizzare nessuno: credo infatti che bisogna sempre
riconoscere al cittadino la propria responsabilità, senza la quale un uomo non
esiste...".
“Dell'Acqua – racconta ancora Muscatello - ha fatto anche un interessante
parallelo fra l'ormai famosa frase di Emma Bonino, pronunciata oltre un anno fa
alla scoperta di avere un tumore ai polmoni ("Io non sono la mia
malattia...") e il lavoro avviato tanti anni fa da Basaglia e poi da Peppe
Dell'Acqua, dall'Assostampa e dall'Ordine del Friuli Venezia Giulia è partito
l'appello a rilanciare, cinque anni dopo la firma, la Carta di Trieste. Che
prescrive di usare termini non lesivi della dignità umana, o stigmatizzanti,
per definire il cittadino con disturbo mentale qualora oggetto di cronaca, il
disturbo di cui è affetto, il comportamento che gli si attribuisce, per non
alimentare il già forte carico di tensione e preoccupazione che il disturbo
mentale comporta e non indurre sentimenti o reazioni che potrebbero risultare
dannosi per la persona, i suoi familiari e la comunità nell’insieme; usare
termini giuridici pertinenti e non allusivi a luoghi comuni nel caso un
cittadino con disturbo mentale si sia reso autore di un reato, tenendo presente
che è una persona come le altre di fronte alla legge; non attribuire le cause
e/o l’eventuale efferatezza del reato al disturbo mentale né interpretare il
fatto in un’ottica pietistica, decolpevolizzando il cittadino solo perché
soffre di un disturbo mentale; considerare il cittadino con disturbo mentale un
potenziale interlocutore in grado di esprimersi e raccontarsi, tenendo presente
che può ignorare le conseguenze e gli eventuali rischi dell’esposizione
attraverso i media; non identificare il cittadino con il suo problema di salute
mentale ovvero con la diagnosi di malattia; garantire al cittadino con disturbo
mentale il diritto di replica; consultare quanti possono essere al corrente dei
fatti per individuare visioni differenti come operatori della salute mentale e
dei servizi sociali, associazioni, magistrati, per poter fornire l’informazione
in un contesto il più possibile chiaro, approfondito e completo; fornire dati
attendibili e di confronto tra i reati commessi da persone con disturbi mentali
e persone senza disturbi mentali; integrare, se possibile, la notizia con
informazioni sui servizi, strumenti, trattamenti, cure che sono disponibili
nelle singole realtà locali; promuovere la diffusione di storie di guarigione
e/o di esempi di esperienze positive improntate alla speranza e alla
possibilità di vivere, pensare a un proprio futuro, lavorare, studiare,
divertirsi, pregare; limitare l’uso improprio di termini relativi alla
psichiatria in notizie che non riguardano questioni di salute mentale al fine
di non incrementare il pregiudizio che i disturbi mentali siano sinonimi di
incoerenza, inaffidabilità, imprevedibilità”.