L'annullamento della delibera della commissione statale sull'equo compenso, decisa dal Tar, accogliendo in parte il ricorso dell'Ordine dei giornalisti, riapre la partita del riconoscimento dei diritti dei colleghi non subordinati.
Il combinato disposto tra le tariffe fissate lo scorso 19 giugno sull'equo
compenso e l'accordo contrattuale di qualche giorno dopo aveva creato un
"mostro giuridico" unico nella storia del sindacato italiano. Un contratto
nazionale, rivolto per definizione ai dipendenti, aveva normato una attività
professionale svolta dagli autonomi. E lo aveva fatto seguendo le tabelle
fissate per legge dalla commissione statale sull'equo compenso, tabelle basate
sul principio che chi più lavora, dunque più è essenziale nella vita produttiva
delle redazioni, meno viene pagato.
L'Associazione Stampa Romana, forte del sostegno di molti colleghi, aveva
subito evidenziato le contraddizioni normative e sindacali di questa scelta.
Il Tar giustifica oggi l'annullamento per due ragioni.
1. La definizione dell'equo compenso vale per tutti, senza distinzioni tra
lavoro autonomo professionale e quello coordinato e continuativo.
2. Non viene rispettato l'art. 36 della Costituzione nella misura in cui i
parametri fissati di equo compenso non sono proporzionali alla quantità e alla
qualità del lavoro svolto, sono legati al "pezzo" e non garantiscono
un'esistenza libera e dignitosa del giornalista autonomo, facendo aumentare
così la forza contrattuale degli editori.
La commissione, nella quale sono rappresentati tutti i componenti delle
istituzioni di categoria, non potrà non tener conto della decisione del Tar per
definire i nuovi valori dell'equo compenso.
A questo punto tocca al nuovo vertice FNSI riprendere in mano l'iniziativa
sindacale e contrattuale, riascoltando i colleghi non dipendenti, facendo
tesoro della sentenza del Tar, prosciugando la platea degli autonomi dai
parasubordinati che vanno riportati nel contratto dalla porta principale,
costruendo un welfare più largo e inclusivo per i non subordinati, chiedendo
agli editori sin d'ora la cancellazione dell'equo compenso dall'accordo
contrattuale.