«Leonardo Caffo è stato dichiarato colpevole e condannato a 4 anni per maltrattamenti aggravati e lesioni gravi nei confronti della ex compagna. Questa è la notizia. Nel pieno rispetto del garantismo, per cui una condanna diventa definitiva dopo il terzo grado di giudizio, un imputato tale resta, sempre, e quindi anche sui media, e non diventa mai una vittima. Come invece è successo nella narrazione del caso e della sentenza». Inizia così una nota dell'Osservatorio Step Ricerca e Informazione diffusa venerdì 13 dicembre 2024.
«"Colpito io per educarne altre mille" – si legge ancora – è una affermazione, pesante e pericolosa specie se inserita in un titolo di giornale, che alimenta una attenuazione, quando non addirittura una negazione, delle responsabilità, determinando, in un approccio narrativo unidirezionale, una rivittimizzazione della donna. Alla quale è stato riservato uno spazio ridotto, se non inesistente, per chiarire la sua storia e la sua posizione. Utilizzare Caffo per una lettura politica della violenza è in contrasto con l'articolo 5 bis del Testo unico deontologico e con il Manifesto di Venezia, così come riportare solo le parole dell'uomo, che sostiene, come dichiarato in alcune interviste, di non dovere neppure scuse, se non sul piano morale, definendosi addirittura bersaglio di un clima punitivo nei confronti degli uomini e mettendo in discussione anche l'intitolazione di un evento letterario a Giulia Cecchettin. Colpevole, a suo dire, di aver generato un clima da caccia alle streghe. Ergendosi così a giudice di scelte altrui e di iniziative a contrasto della violenza alle donne, stimolato peraltro da quesiti che tendono a rimettere in discussione il peso sociale della violenza e, nel caso specifico, di un femminicidio».
L'Osservatorio Step - Ricerca e Informazione sul racconto della violenza maschile alle donne a mezzo stampa, cui aderiscono le Commissioni Pari Opportunità della Fnsi, del Cnog e dell'Usigrai, l'associazione Giulia Giornaliste e le Università della Tuscia e La Sapienza, «segnala con preoccupazione come questa narrazione leda la dignità di tutte le donne, delegittimi la cultura del cambiamento contro ogni forma di violenza, attribuisca una colorazione politica e partitica a un problema sociale, la violenza di genere, che non può mai prescindere dal linguaggio usato e dal rispetto della vittima. Allarma anche la scelta di spettacolarizzare il fatto, in alcuni casi limitandosi a riprodurre passaggi di articoli di altre testate, che riportano semplicemente le parole di Caffo senza inquadrare criticamente la vicenda. L'informazione - conclude la nota - non ha il compito di precostituire e confezionare attenuanti, ma di raccontare la verità».