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Diffamazione 14 Dic 2015

Diffamazione, arrestato a 81 anni il giornalista Francesco Gangemi. Parisi: “Intervenga il Capo dello Stato”

A 81 anni è stato arrestato e posto ai domiciliari per aver diffamato a mezzo stampa e per non aver rivelato le sue fonti. È l’eclatante caso di Francesco Gangemi, giornalista di Reggio Calabria, condannato dal Tribunale di Catania per i suoi articoli. “Un provvedimento mostruoso”, tuona il vicesegretario aggiunto della Fnsi, Carlo Parisi, che chiede l’intervento del presidente Mattarella.

A 81 anni è stato arrestato e posto ai domiciliari per aver diffamato a mezzo stampa e per non aver rivelato le sue fonti. È l’eclatante caso di Francesco Gangemi, giornalista di Reggio Calabria, condannato dal Tribunale di Catania per i suoi articoli. “Un provvedimento mostruoso”, tuona il vicesegretario aggiunto della Fnsi, Carlo Parisi, che chiede l’intervento del presidente Mattarella.

Ha da poco compiuto 81 anni ed è invalido al 100 per cento, ma nonostante questo è stato arrestato dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Catania per un cumulo di pene a 2 anni 11 mesi e 16 giorni di reclusione per diffamazione a mezzo stampa e per non avere rivelato le fonti fiduciarie delle notizie.
È quanto accaduto al giornalista Francesco Gangemi, giornalista di Reggio Calabria, costretto agli arresti domiciliari dopo che il Tribunale di Catania ha rigettato la richiesta di affidamento ai servizi sociali, affidando alla Procura di Cosenza l’esecuzione del provvedimento disposto da una sentenza definitiva del 10 marzo scorso.
“Due anni dopo l’allucinante arresto che, all’età di 79 anni, l’aveva portato dietro le sbarre, sollevando l’indignazione del Paese e la sospensione del provvedimento, la storia si ripete”, commenta dalle colonne di giornalistitalia.it il segretario generale aggiunto della Fnsi e segretario del sindacato giornalisti della Calabria, Carlo Parisi.
“Un provvedimento – prosegue Parisi – che non esitiamo a ridefinire, come avevamo fatto all’epoca assieme all’allora segretario generale della Fnsi, Franco Siddi, mostruoso per qualsiasi ordinamento democratico che si fondi sulla libertà di espressione, di stampa e sul pluralismo delle idee. Gangemi paga duramente non solo il prezzo delle sue idee ‘forti’ e fuori dal coro, ma soprattutto l’ingiustificato ritardo del Parlamento nel riformare la legge sulla diffamazione che, per i reati a mezzo stampa, prevede ancora il carcere per i giornalisti consentendo il ripetersi di dolorosi episodi come questo”.
“Francesco Gangemi – sottolinea ancora il segretario del sindacato calabrese – è chiamato a scontare una pena residua di quasi tre anni perché, ancora una volta, la Procura della Repubblica di Catania ha dichiarato decaduti i benefici di sospensione condizionale della pena per i suoi articoli pubblicati sui periodici ‘Il Dibattito’ e ‘Dibattito news’. Suscita, però, ancora enorme sorpresa l’ennesima decisione della magistratura di applicare la pena detentiva del carcere per i reati di diffamazione a mezzo stampa, prevista dal Codice penale, ma giudicata incompatibile dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. E lo stupore è maggiore in considerazione dell’età del giornalista in un Paese, è doveroso ricordarlo, che concede spesso misure alternative alla detenzione ad incalliti delinquenti ultrasettantenni che si sono macchiati di efferati crimini”.
Nell’auspicare una revisione del provvedimento cautelare, ispirata a criteri di vera giustizia e umanità, Parisi rinnova, infine, al Parlamento “l’appello per riformare con urgenza la legge sulla diffamazione a mezzo stampa ed al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di valutare le possibilità di un intervento che, considerata l’età e le condizioni di salute del giornalista, eviti a Francesco Gangemi la privazione della libertà personale per reati compiuti nell’esercizio della professione giornalistica. Un giornalista che commette reato, diffamando qualcuno, va punito, certo. Con una multa, non con il carcere. Ma non va, in ogni caso, punito per non aver rivelato le fonti fiduciarie di una notizia vera, sacrosanto diritto di chi svolge questa professione”.

Foto: Giornalistitalia.it

@fnsisocial

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