L'ex direttore della Gazzetta dello Sport, Candido Cannavo', 78 anni, e' morto domenica mattina alle 8.45 nella clinica Santa Rita di Milano dove era ricoverato da giovedi' scorso per una emorragia cerebrale. I funerali si celebreranno martedì alle 14.45 nella chiesa di San Pietro in Sala, in Piazza Wagner
Candido Cannavò era in coma da giovedì scorso, quando aveva accusato un malore mentre era in redazione. Le sue condizioni erano subito apparse gravissime. Durante la scorsa notte Cannavò ha avuto una grave crisi ipotensiva con scompenso cardiocircolatorio e oscillazione dei parametri vitali. Questa mattina è sopraggiunta la morte per arresto cardiocircolatorio. ''Era un grande lottatore e pensava di farcela anche questa volta'': sono le parole che Alessandro Cannavo' ripete a giornalisti e amici accorsi davanti alla clinica milanese Santa Rita dove si e' spento il padre Candido. ''Mio papa' ha dato un grandissimo contributo in termini di umanita' e altruismo - ha detto Alessandro, uno dei tre figli l'ex direttore della Gazzetta dello Sport - e abbiamo ricevuto straordinarie manifestazioni di affetto, anche da chi non lo aveva mai conosciuto''. Oltre a cronisti, operatori e fotografi, tra i primi ad arrivare alla clinica, il direttore del Sole 24 Ore, Ferruccio de Bortoli, il direttore delle carceri lombarde, Luigi Pagano, e Gianfelice Facchetti. Con Candido Cannavo' ''scompare un campione assoluto del giornalismo italiano, ha raccontato lo sport, le sue passioni, le sue glorie, ma anche le sue miserie'': lo dice Franco Siddi, segretario generale della Federazione nazionale della stampa. ''Ha sofferto per le macerie causate da doping e scandali di uno sport troppo spesso allontanatosi dal sentimento e della libera passione - dice ancora Siddi - . Il valore della lealta' per lui valeva piu' dell'esito di qualsiasi gara. La competizione nello sport come nel giornalismo era e doveva essere la ricerca della migliore rappresentazione dei fatti attraverso un racconto completo e accattivante. Giornalista a 360 gradi, dalla Sicilia di Catania alla Gazzetta dello sport, Candido Cannavo' ha dato al giornalismo italiano lustro, concorrendo in prima persona ad assecondare i cambiamenti industriali dell'informazione, senza mai perdere le radici della buona cultura del giornalismo. A lui - conclude - il pensiero e l'omaggio dei giornalisti della Federazione Nazionale della Stampa Italiana''. (ANSA) 'UNA VITA IN ROSA' ALLA GAZZETTA (di Angela Majoli) Il momento più brutto della sua carriera di giornalista, raccontava Candido Cannavò, storico direttore della Gazzetta dello Sport scomparso oggi all'età di 78 anni, era stato la notte dell'Heysel del 29 maggio 1985, con i 39 morti tra i tifosi riuniti allo stadio per Juve-Liverpool. "Quella sera, davanti all'immane tragedia, a me, ai miei colleghi, è venuta la voglia di lasciare tutto, di andare via. Poi è prevalsa l'altra voglia, quella di raccontare, anche di capire". Quella voglia che lo aveva spinto a 19 anni a lasciare gli studi di medicina e a sposare la vocazione di giornalista, seguendo un percorso che lo avrebbe portato a girare per il mondo, seguendo fatti, incontrando uomini, facendo esperienze irripetibili. "Non sapremo mai ciò che la medicina ha perso - disse Gianni Agnelli - visto che il giovane Cannavò ha deciso di diventare giornalista, ma sappiamo quanto ci ha guadagnato lo sport e noi con lui". Nato a Catania nel novembre 1930, orfano di padre dall'età di cinque anni, Cannavò ha mosso i primi passi nel mondo del giornalismo nel 1949 nel quotidiano della sua città, La Sicilia, occupandosi di sport ma anche di importanti temi sociali e di costume. Nel 1955 è entrato alla Gazzetta come corrispondente; nel 1981 ne è diventato vicedirettore, poi condirettore e nel 1983 ha preso il posto di Gino Palumbo alla scrivania di direttore. Ci è rimasto per 19 anni, fino al 2002, facendo diventare la 'Rosea' il più diffuso quotidiano sportivo d'Europa e restandone poi tra gli editorialisti più amati. Nel luglio del 2005 ha festeggiato il 50/mo anniversario della sua prima firma sul giornale per il quale ha seguito i maggiori eventi sportivi mondiali e undici Olimpiadi. Un itinerario che ha raccontato nella sua autobiografia, Una vita in rosa, pubblicata da Rizzoli nel 2002 (e vincitrice del premio Chianciano nel 2003), che si apre con la guerra e le bombe su Catania e arriva fino ai giorni nostri. Una galoppata nella quale si possono incontrare Maradona e Gino Bartali (uno dei suoi campioni preferiti, insieme con Giacinto Facchetti), Carlo Azeglio Ciampi e Pelé, Saddam Hussein e Stalin, Helenio Herrera e Fulvio Bernardini, Gianni Brera e Indro Montanelli. Ma ci sono anche le notti insonni della Coppa America, le sfide della Formula 1, le partite di un calcio in continua evoluzione, nel bene e nel male. Alla passione per lo sport Cannavò ha sempre accompagnato l'interesse per i temi sociali e di costume, come testimoniano i tre saggi usciti negli ultimi anni sempre per Rizzoli: Libertà dietro le sbarre (2004, riconoscimento speciale nell'ambito del premio Ernest Hemingway), E li chiamano disabili (2005, un successo da undici edizioni) e Pretacci - Storie di uomini che portano il Vangelo sul marciapiede (2008, premio Fregene). In Libertà dietro le sbarre è entrato a San Vittore con l'umiltà del cronista, a taccuino aperto: "Viaggiando nel piccolo carcere delle donne e in quello, enorme e intasato, degli uomini - spiegò - ho raccolto storie di tenacia, di intelligenza, di fantasia, di speranza infinita e anche d'amore". Poi il viaggio nell'handicap, nel libro E li chiamano disabili, 16 storie di non rassegnazione, di individui coraggiosi, appassionati e capaci di grandi successi sportivi. Infine, lo scorso anno, il terzo capitolo di questa ideale trilogia, Pretacci, dedicato a quei preti da marciapede che passano la giornata tra gli ultimi della terra, "gente che si sporca la tonaca", da don Oreste Benzi a don Andrea Gallo. Tra le tante onorificenze che hanno segnato la lunga esperienza di Cannavò, il titolo di Grand'Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana, conferitogli nel 1992 dal Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi; l'Ordine Olimpico, ricevuto dal Comitato Olimpico Internazionale nel 1996, durante i Giochi di Atlanta; il premio Ischia per il giornalismo nel 1998 e il premio Saint Vincent - Indro Montanelli alla carriera nel 2006. "LO SPORT HA PERSO UN CAMPIONE": L'ADDIO E I RICORDI NAPOLITANO: "RACCONTO' LEALTA' E COMPETIZIONE" Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, appresa la triste notizia della scomparsa di Candido Cannavò, in un messaggio ha espresso la sua partecipazione al dolore della famiglia e al cordoglio del mondo dell'informazione e del più grande pubblico sportivo, ricordando il giornalista di lungo corso che dalle colonne della Gazzetta dello Sport, di cui è stato per tanti anni direttore, e dalle più diverse tribune mediatiche, ha raccontato con passione e acutamente divulgato i valori di lealtà e di competizione che hanno reso sempre più popolare il gioco del calcio e lo sport italiano. Lo rende noto un comunicato del Quirinale. "Oggi lo sport ha perso un campione. Un campione che amava lo sport e lo ha narrato con sublime passione e impareggiabile sentimento. Candido Cannavò non è stato solo un fuoriclasse del giornalismo ma anche un maestro di vita": così il presidente del Coni Gianni Petrucci ha ricordato la figura di Cannavò. "Rappresentava per me - ha aggiunto - un punto di riferimento costante, una figura carismatica capace di dispensare consigli preziosi e tavolta giuste critiche dalla sua 'rosea' prospettiva privilegiata. Mi fidavo della sua innata abilità nel trovare la soluzione giusta per ogni situazione complessa, della sua sempre efficace capacità critica, mai sopra le righe, frutto di un'esperienza e di un equilibrio senza paragoni. Oggi ci ha lasciato uno di noi e per questo è un giorno triste per lo sport italiano e per il mondo olimpico, ai quali Cannavò ha dedicato tutta la sua vita diventando cosi il nostro inseparabile compagno di avventura. Addio Candido, senza di te ci sentiamo tutti più soli". Anche il segretario generale del Coni Raffaele Pagnozzi ha ricordato la figura dell'ex direttore della Gazzetta dello Sport: "In questo momento ricordo non il direttore, non il giornalista ma soprattutto il vero uomo di sport - ha detto - che ci ha accompagnato durante tutte le Olimpiadi, occasioni speciali in cui ho avuto modo di apprezzarne le indiscusse qualità, lavorando insieme a lui. C'era sempre una curiosità umana unita a una grande conoscenza tecnica che sconfinava nella sincera ammirazione per tutte le imprese e per tutti i campioni del nostro sport. Non foss'altro che per questo, lo sport italiano gli deve molto e sono certo che saprò ricordarlo come merita, per farlo rimanere sempre in mezzo a noi". ''Ha contribuito a far conoscere e capire lo sport agli italiani''. La Juventus ricorda cosi' Candido Cannavo'. ''Il mondo del giornalismo sportivo ha perso uno dei suoi maestri'', si legge sul sito internet del club bianconero, che ricorda i ''quasi 20 anni'' in cui Cannavo' e' stato direttore della 'rosea'. Ovvero ''dal 1983, quando ha preso il testimone da Gino Palumbo - si legge - fino al 2002'', quando ha lasciato il giornale nelle mani di Pietro Calabrese. ''Per me lui era immortale, sempre carico di energia, di voglia di andare a fondo. Non ci posso credere, perdere una persona cosi'. Gia' sento nostalgia''. Josefa Idem non riesce a trattenere la commozione: con Candido Cannavo' la campionessa della canoa ha condiviso anche la sua ultima impresa ai Giochi di Pechino, quando a 44 anni ha vinto la medaglia d'argento. ''Alle ultime Olimpiadi mi aveva detto 'Josefa alla tua eta' guarda ancora cosa combini' - dice con la voce rotta dall'emozione - e lui c'era sempre, con la sua straordinaria capacita' di raccontare le cose per quello che sono realmente. Una perdita enorme, per questo gia' mi manca''. "Un grande amico e un maestro che ha trasmesso a noi più giovani la passione per il giornalismo": così il direttore del Sole 24 Ore Ferruccio de Bortoli ha ricordato la figura di Candido Cannavò. Tra i primi a raggiungere la clinica milanese Santa Rita, De Bortoli ha sottolineato come Cannavò "lasci un grandissimo esempio di giornalismo attento ai bisogni della gente, che ha sviluppato soprattutto dopo aver lasciato la direzione della Gazzetta dello Sport". "Ha legato l'ultima parte della sua vita - ha continuato il direttore del Solo 24 Ore - alla necessità di restituire agli altri con la sua attenzione al volontariato ciò che riteneva la vita gli avesse concesso: era convinto di essere stato molto fortunato". "Scriveva e raccontava il calcio con severità, ma con tanto amore. Sempre pronto a bacchettare da buon 'maestro' quando qualcuno provava ad andare fuori dai binari dell'etica": così ricorda il presidente della Lega Calcio, Antonio Matarrese, ricorda l'ex direttore della Gazzetta dello sport. "Il suo amore per il calcio e per la famiglia del calcio - prosegue Matarrese - lo ha esternato ancora di più nell'aver voluto istituire, grazie alla sua 'rosa', il famoso premio 'il bello del calcio', in onore ed in memoria di Giacinto Facchetti, che lui adorava come uomo e come calciatore". "Ricordo con commozione la sua gioia quando scoprì che nella mia valigia settimanale che uso per andare in Lega nascondevo gelosamente una bellissima foto di Giacinto. Ora - conclude il presidente della Lega Calcio - stanno insieme e da lassù Candido e Giacinto continueranno a guardare noi e le nostre debolezze con severità e amore, quell'amore che noi ricambiamo e che non verrà mai meno". (ANSA)