Nemmeno la malattia, che da anni la imprigionava vigliaccamente e che ieri ha purtroppo avuto partita vinta, è riuscita a spegnere la passione di Enrica Speroni per il giornalismo: fino a pochi mesi fa, idee e contributi, ma anche critiche, sono arrivati ai colleghi della Gazzetta dello Sport via email, il mezzo con cui Chicca poteva ancora comunicare.
Un po' come accadde al pittore Paul Klee, pareva che il progressivo assopirsi del corpo facesse da contraltare a un'esuberanza intellettuale che rappresentava un manifesto per la vita. Ovvero: la mente che non si arrende e che lotta. Di lei si chiedeva con riservatezza, in un misto di pudore e di rispetto per una persona mai doma, che aveva speso tenacia fin dal giorno in cui aveva accantonato una laurea in Pedagogia per dimostrare «che scrivere di sport è cosa adatta alle donne». Poi a quella frase-sfida, che spesso pronunciava nei passaggi in auto serali verso casa, io fino a Varese transitando per Appiano Gentile dove lei abitava e dove oggi alle 15 si terranno, le esequie, aggiungeva ridendo: «Alcune amiche mi danno del maschiaccio». Aveva ragione Chicca: era fatta per il giornalismo sportivo. Seconda donna a essere assunta alla «Rosea» (nel 1984), Enrica Speroni ha scalato la piramide della redazione fino ad assumere responsabilità di comando.
Ha scritto dal Giro d'Italia, s'è occupata a lungo di televisione, ci ha regalato ottime interviste, ha raccontato Giampiero Boniperti in una mirabile biografia a quattro mani: il male che le ha sbarrato la strada a 59 anni di età non avrà mai il ricordo del suo lavoro e di un coraggio di fronte al quale esiste solo il silenzio.
Di Flavio Vanetti (da Il Corriere della Sera del 12 dicembre 2013)