Il binomio 'informazione e democrazia', con la consapevolezza che 'informazione è democrazia', al tempo in cui la disintermediazione mette in crisi le basi stesse della democrazia. E in mezzo il ruolo del giornalista, l'importanza della qualità dell'informazione e della formazione dei giornalisti, le difficoltà che attanagliano il settore. Questi i temi attorno ai quali è ruotata la mattinata di riflessione e approfondimento promossa nella sede della Fondazione per gli studi sul giornalismo intitolata a Paolo Murialdi.
A coordinare i lavori del seminario 'Giornalismo di qualità: quale formazione?' il presidente di turno della Fondazione, Vittorio Roidi, autore del volume da poco dato alle stampe 'Non sparate al giornalista', dal quale ha preso le mosse il confronto fra Mario Morcellini, commissario Agcom; Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi; Paola Spadari, presidente dell'Ordine dei giornalisti del Lazio; Maurizio Paglialunga, coordinatore del Comitato tecnico scientifico del Cnog; il segretario della Fondazione, Giancarlo Tartaglia; Arcangelo Iannace della Fieg; Mario Tedeschini, docente di Giornalismo digitale; Romano Bartoloni, segretario del Sindacato cronisti romani; Vittorio Fiorito, ex direttore della scuola di giornalismo di Perugia.
Al professor Morcellini il compito di tratteggiare il contesto sociologico in cui il sistema dell'informazione è calato e che al tempo stesso contribuisce a costruire. Al centro i concetti della disintermediazione, intesa come «la tendenza a cancellare le figure che aiutano a comprendere il mondo»; dell'accelerazione tecnologica, «che rende più difficile l'elaborazione culturale della realtà e dei fenomeni nuovi»; della distanza tra le nuove e le vecchie generazioni anche in termini di fruizione dei media.
Per il commissario Agcom, l'odierna ipersemplificazione informativa, il rifiuto di ogni mediazione, la ricerca ossessiva di un 'mondo che mi somiglia' e l'incertezza che ne deriva hanno come conseguenze, in primo luogo sociali, oltre che in termini di fruizione del 'prodotto' informazione, del ruolo dell'informazione professionale, e dunque del ruolo del giornalismo nella costruzione delle identità soggettive e sociali, «l'amnesia delle relazioni sociali, ovvero – ha spiegato – la mancanza di connessioni sociali dovute al consumo di autoinformazione. Solo partendo da questo quadro si può giungere agli obiettivi dei percorsi formativi da costruire per far tornare (in modo nuovo) il giornalismo e i giornalisti ad essere costruttori di relazioni sociali».
Di democrazia digitale come «fine della democrazia» ha parlato il segretario Lorusso, che ha evidenziato: «Se le sorti dei cittadini vengono date in mano a chi ha le chiavi delle piattaforme non siamo più in democrazia. È qualcos'altro. E i giornalisti e tutti i mediatori, che sono gli anticorpi alla deriva verso sistemi non democratici figli di quei processi di disintermediazione, proprio per questo sono finiti nel mirino di chi oggi mette in discussione i principi della prima parte della Costituzione».
Per Lorusso l'unico modo di difendere l'informazione è puntare sulla qualità e qui, incalza, «si apre il discorso della formazione». Ma anche dell'accesso alla professione. «Abbiamo abbassato il livello della professione non controllando gli accessi. Questa è l'unica professione ordinistica i cui canali di accesso sono molteplici e i requisiti disomogenei, andando dalla laurea alla terza media», ha osservato.
C'è poi il tema della carte deontologiche, «che non vengono fatte rispettare. Difendiamo l'Ordine – ha spiegato il segretario Fnsi – perché siamo convinti che serva alzare l'asticella della qualità nella professione, dalla formazione al rispetto dei doveri. Ma per far questo dobbiamo anche avere il coraggio di accompagnare alla porta chi non rispetta le regole che noi stessi ci siamo dati».
Infine la questione del precariato e dei compensi troppo bassi. «Dobbiamo confrontarci con chi quei compensi li offre, ma anche con chi li accetta. Va posto il tema della dignità della professione e del lavoro. Ci sono aziende che ritengono che il costo del lavoro debba scendere ancora. Le stesse aziende che non assumono, ma demandano il lavoro a collaboratori cococo che costano un sesto di un redattore ordinario. La legge lo consente. Abbiamo posto questo problema al legislatore più volte, ma senza ottenere nulla. Così come nulla è stato fatto sul fronte dell'inclusione e del contrastato al lavoro precario. E la precarietà nel nostro settore qualche ricaduta sulla democrazia ce l'ha», ha concluso Lorusso.
Paola Spadari ha ricordato le quotidiane difficoltà a comminare le sanzioni e a procedere alla revisione degli albi; ad assicurare a tutti gli iscritti formazione professionale gratuita e di qualità; ad ottenere una vera riforma dell'Ordine che abbia al centro, fra le altre cose, l'elenco unico e l'accesso con titolo universitario. «Tutto questo in un momento in cui l'emergenza è la tenuta del sistema: vari pezzi del sistema sono sotto attacco, penso all'Ordine, all'Inpgi, al taglio dei fondi per l'editoria. Solo un ente pubblico come l'Ordine può garantire la reale autonomia della professione anche da questi attacchi», ha ribadito.
«Siamo ingabbiati dalla legge del '63 e nel reticolo di norme che andrebbero riviste e aggiornate. E intanto la qualità dell'informazione diminuisce. I giornalisti sono deboli, precari e ricattabili. Ma se non cambiano le regole è sempre e solo tutto un tamponare», ha insistito Maurizio Paglialunga.
Arcangelo Iannace si è detto concorde sul fatto che informazione e democrazia vanno coniugate insieme e che, proprio per questo, occorre preservare il giornalismo di qualità. «Ma per fare informazione di qualità occorrono risorse e in questo momento – ha evidenziato – il settore è in grande crisi: in 10 anni il fatturato è sceso del 55 per centro, da 8 a 3,1 miliardi di euro. La crisi economica, l'avvento del digitale, che ha separato contenuto e contenitore, e infine la disintermediazione hanno dato un duro colpo all'industria dell'editoria. E il contesto politico, con i tagli al fondo per il pluralismo e alle agevolazioni telefoniche e postali, non aiuta. Mentre occorrerebbe tutelare i contenuti editoriali, contrastare la pirateria, contenere il drenaggio delle risorse pubblicitarie da parte degli Over the top, nuove regole a tutela del copyright».
Tra le questioni sollevate da Giancarlo Tartaglia il dato di fondo della disintermediazione: «Non soltanto nell'informazione – ha osservato – dato che c'è un progetto di eliminare tutte le forme di mediatori come partiti, parlamento, sindacati. Sta prevalendo il concetto che la intermediazione possa essere eliminata dalla tecnologia. Ma eliminare l'intermediazione significa passare dalla democrazia mediata alla democrazia diretta che è l'anticamera dell'autoritarismo. La qualità dell'informazione è un 'valore aggiunto' da salvaguardare. Ma per garantire un prodotto di qualità occorre lavoro di qualità. Riducendo i costi non si possono risolvere i problemi dell'editoria». E infine due elementi di discussione: «Chi non è iscritto all'Inpgi deve essere cancellato dell'Ordine perché non svolge attività professionale non occasionale» e «chi accetta 3 euro a pezzo va sanzionato perché fa concorrenza sleale».
Una possibile sintesi l'ha prospettata Mario Tedeschini rilevando che «nessuna delle questioni sollevate può essere risolta pensando che si possa tornare a come era prima. Perché sono cambiate le condizioni strutturali di un'industria dei media che passava per il solo filtro di chi aveva risorse e mezzi di produzione. Oggi non è così. Allora come giornalisti possiamo sopravvivere solo se troviamo il modo di tornare ad essere, in forme nuove, centrali nel ruolo di mediazione nella formazione nella politica nella società».