Forti critiche dell’Unci – l’Unione nazionale cronisti italiani – alla legge delega al vaglio della Camera dei deputati riguardante tra l’altro ‘modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive’: il testo “mostra ancora una volta – scrive il presidente Galimberti in una nota - i limiti di un legislatore incoerente e schizofrenico, per non dire impreparato, sul rapporto tra (presunta) privacy e diritto di cronaca”.
Alessandro Galimberti, presidente dell’Unione nazionale
cronisti italiani, entra nel merito del disegno di legge di riforma del
processo penale, che comprende anche la delega al governo sulle
intercettazioni, in discussione in queste ore in parlamento. “La legge delega
C. 2798-A al vaglio della Camera dei deputati riguardante tra l’altro Modifiche
al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle
garanzie difensive – scrive Galimberti – mostra ancora una volta i limiti di un
legislatore incoerente e schizofrenico, per non dire impreparato, sul rapporto
tra (presunta) privacy e diritto di cronaca”.
“L’emendamento sul divieto di registrazioni tra presenti, che nonostante le
smentite potrebbe colpire anche le telecamere nascoste del giornalismo
d’inchiesta, è tecnicamente sbagliato – prosegue la nota dell’Unci – per tre
motivi: le registrazioni tra presenti sono pienamente legittime e utilizzabili
nei processi, anche a prescindere dalla questione giornalistica, tutte le volte
che siano utili a dimostrare la commissione (o il tentativo) di un reato;
l’attività giornalistica è comunque sempre scriminata (cioè non punibile) a
prescindere dall’esistenza o meno di un reato da documentare (articolo 51 del
Codice penale) e quindi un dialogo ‘rubato’, se ha rilevanza pubblica per il
ruolo del personaggio intercettato e per le circostanze raccontate, non può
tollerare alcun limite di legge, anche se dal racconto non emerge alcun reato
imputabile all’intervistato; l’emendamento parlamentare viene inserito in un
contesto di indagine penale, cioè in una fase già sorvegliata dal giudice
preliminare e dettagliatamente regolamentata dal codice, risultando completamente
fuori luogo e facendo sorgere più di qualche dubbio sulla reale intenzione di
chi lo ha proposto e di chi lo sostiene”.
“Se lo scopo del legislatore – conclude quindi Galimberti – è di evitare il
‘far west’ del web e dei social network, considerato che oggi chiunque può
registrare immagini e audio con il proprio telefono, e poi pubblicare i file
sul web o sui social network per finalità poco nobili e di nessuna utilità
sociale, la strada da percorrere non è certo quella della legge delega in materia
di intercettazioni, e in ogni caso il nuovo reato dovrà essere meglio
circostanziato per evitare dubbi, equivoci e scivoloni freudiani
purtroppo sempre latenti nel Parlamento”.