In materia di legislazione sulle intercettazioni, “non bisogna andare con l'accetta ma col bisturi. Il carcere non avrebbe senso e in un contesto economico come quello di adesso, le sanzioni pecuniarie ci metterebbero nelle mani di editori che non hanno più neanche liquidità per farvi fronte, quindi l'input sarebbe di andare 'piatti' nel trattare certi temi”.
Così il segretario generale aggiunto vicario della Fnsi,
Anna Del Freo (nella foto), nell'audizione in commissione Giustizia alla Camera sulla delega
in materia di pubblicazione delle intercettazioni, contenuta nel ddl
governativo di riforma del processo penale.
“Va tutelato – ha spiegato Del Freo – il diritto fondamentale dei giornalisti
di poter pubblicare le notizie. Metto in guardia dal chiudere i rubinetti
dell'informazione, dobbiamo stare attenti a non scivolare ulteriormente
indietro in classifiche sulla libertà di stampa che già ci vedono molto bassi”.
Rispondendo alle domande seguite al suo intervento, Anna Del Freo ha poi
aggiunto che “se occorrono, nello spirito di quello che con i colleghi abbiamo
detto oggi, come Federazione siamo pronti a elaborare anche dei suggerimenti
più precisi”.
In sintonia con le posizioni espresse per la Fnsi dal segretario generale
aggiunto vicario Del Freo anche molti dei direttori di testate e il presidente dell'Ordine
dei giornalisti, Enzo Iacopino, sentiti nel corso delle audizioni in commissione
Giustizia alla Camera, presieduta da Donatella Ferranti.
"Non è una questione che si può risolvere solo per legge”, ha detto Mario
Calabresi, direttore de La Stampa. “Un conto – ha rilevato Calabresi - è il pettegolezzo,
la comunicazione riservata che non ha niente a che fare con il processo, ma ci
sono comunicazioni che pur senza rilevanza penale possono mettere in luce
comportamenti che l'opinione pubblica ha il diritto di conoscere. Per evitare distorsioni
deve esserci un forte richiamo alla deontologia professionale dei giornalisti
da parte dell'Ordine, ma anche una forte selezione sugli atti da parte del
magistrato".
Maurizio Belpietro, direttore di Libero, ha ricordato che in 25 anni di esperienza
alla guida di un quotidiano gli "sono passate sotto le mani tante frasi e
le ho sempre pubblicate, perché pur non essendo notizie di reato erano notizie,
spesso da prima pagina".
Secondo Luigi Vicinanza, direttore de L'Espresso, "noi giornalisti quando
riceviamo questi atti contenenti le intercettazioni così come trascritte
dall'autorità giudiziaria non possiamo fare altro che pubblicarli, secondo i
principi stabiliti dalla Cassazione, quelli di verità, rilevanza sociale e
continenza del racconto".
Un giornalista "che ha un notizia e non la pubblica è un cattivo
giornalista, il faro a guidarlo deve essere l'interesse pubblico", ha
ribadito il presidente dell'Ordine dei giornalisti Iacopino.
“In genere sono i magistrati, i loro collaboratori o gli avvocati - ha detto
invece il direttore di Panorama Giorgio Mulè – a offrire ai giornalisti
materiali interessanti dal punto di vista giornalistico, succosi, ma assolutamente
irrilevanti dal punto di vista penale ".