Più di 1100 vittime in dieci anni: questo il terribile contributo di vite umane pagato dai giornalisti nel mondo dal 1996 ad oggi, stando all’ultimo studio pubblicato dall’Insi, Istituto internazionale per la sicurezza dell’informazione.
Secondo i dati dell’istituzione nata da una collaborazione fra organizzazioni dei media, associazioni per la libertà d’informazione e organizzazioni umanitarie, il conteggio annuale delle vittime fra i reporter ha subito una tragica impennata dal 2003, anno dell’invasione americana in Iraq. E proprio il Paese mediorientale si conferma ancora una volta come il posto più pericoloso per gli operatori dell’informazione, seguito dalla Russia e dalla Colombia. L’anno più cruento per i giornalisti nel mondo è stato il 2006, con 167 vittime, mentre nel 2005 erano state 149 e 131 nel 2004. Il conteggio totale dall’inizio dello studio, intitolato “Killing the Messenger” (“Uccidere il messaggero”), fa segnare 1101 caduti sul lavoro. Quasi la metà di questi è stato freddato con un’ arma da fuoco, ma il dato che fa più riflettere è che almeno 657 giornalisti sono stati uccisi mentre operavano nel proprio Paese in tempo di pace. (9Colonne)