Senza Bavaglio: “Scuole sì, giungla no”
La posizione di Senza Bavaglio sulle scuole di formazione giornalistica è stata più volte espressa, ma ci sembra giusto - in questi giorni di dibattito - ribadirla ancora una volta. Noi non siamo contro le scuole, anzi. Crediamo che sempre di più sarà necessario, per accedere alla professione, seguire un iter di formazione paragonabile a quello delle altre professioni. Ma la situazione attuale è frutto di una serie di contraddizioni e paradossi che vanno corretti. Chi frequenta un corso di formazione giornalistica riconosciuto dall'Ordine dei Giornalisti non è tenuto -come tutti sanno - a fare il praticantato in una redazione. Due anni di corso e può sostenere l'esame di Stato. Finché le cose rimarranno così, è fondamentale fermare il proliferare delle scuole di formazione giornalistica, perché non fanno che immettere giovani professionisti in un mercato che lo stesso presidente lombardo Abruzzo ha definito "asfittico". Le cose devono cambiare, è ormai giunto il tempo di ripensare le modalità di accesso alla professione, in modo che venga assicurato il riassorbimento dei disoccupati e la preparazione di nuovi giornalisti in vista di un potenziale, quanto realistico, impegno professionale. Paradossalmente, al momento attuale, sono i professionisti delle scuole ad essere "di troppo" sul mercato, perché chi diventa professionista con il praticantato o su surrogatoria, o chi diventa pubblicista pur facendo il lavoro del redattore (i famosi "abusivi". Anche Abruzzo è stato un abusivo per sei anni, è una vita che conosce bene!), o lavorando da casa, ma con un rapporto di lavoro subordinato che lo porta a consegnare anche - nel caso di un quotidiano locale - un centinaio di articoli al mese alla stessa testata, fa già parte del mercato. La concorrenza che viene dai corsisti delle scuole di formazione giornalistica non è giustificata da una fantomatica miglior preparazione (noi crediamo che anche l'esperienza sul campo sia un valore da difendere), ma dal fatto che - purtroppo - le convenzioni di stage vengono disattese. Non c'è convezione di stage che permetta di assimilare il tirocinio al lavoro vero e proprio, ma le redazioni usano gli stagisti da anni, ormai, per assicurarsi sostituzioni gratuite, a danno dei disoccupati che dovrebbero essere tutelati, in questo senso, da un Contratto del lavoro ormai platealmente disatteso. Le redazioni hanno così la possibilità di provare gratuitamente una persona per qualche mese e se questa va bene si trova certo in una posizione privilegiata per possibili assunzioni. Anche il disoccupato potrebbe fare un periodo "di prova", utilizzandolo in una sostituzione, ma dovrebbe essere pagato: e proprio in questo sta la differenza. Ciò non significa che il disoccupato in quanto tale sia per forza bravissimo: ma, in quanto disoccupato, significa che per un tempo più o meno lungo ha lavorato in questo settore, ha fatto parte della macchina produttiva, quindi è stato considerato capace di fare questo mestiere. E ha il diritto al riassorbimento. Un'ultima cosa: Senza Bavaglio ha lanciato una forma di protesta contro il prelievo forzoso dei 10 euro per il sostegno dell'Ifg di Milano, chiedendo che questi stessi soldi siano usati per la creazione di un fondo per i disoccupati (basta mandare una mail all'Ordine con la frase: "10 euro per fondo disoccupati"). Anche altri hanno chiesto un chiarimento su questo punto. Il presidente Abruzzo ha risposto ad uno dei gruppi scrivendo: "La sinistra ha smarrito le parole grandi della sua storia (libertà, giustizia, uguaglianza) (...). Oggi arriva di fatto a chiedere lo smantellamento della scuola pubblica di giornalismo che assicura a chi non ha mezzi di poterla frequentare". Non ci si deve preoccupare solo degli aspiranti giornalisti con difficoltà economiche. Anche i giornalisti disoccupati, magari con una famiglia da mantenere, sono in posizione di debolezza. Va data attenzione - concreta - anche a loro. E' ciò che noi chiediamo. Senza Bavaglio