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Contratti 14 Nov 2006

La relazione del Segretario Generale Paolo Serventi Longhi agli Stati Generali - Roma 14 novembre

Care colleghe cari colleghi, Questa manifestazione nazionale conferma, se ve ne fosse bisogno, la grande rilevanza sociale ed anche politica del durissimo scontro contrattuale e per l’autonomia previdenziale della nostra categoria con la Federazione degli Editori. E nello stesso tempo consente di far emergere l’assurdità del muro di gomma con cui si tenta di circondare la vertenza per il contratto degli uffici stampa, previsto da una legge dello Stato.

Care colleghe cari colleghi,
Questa manifestazione nazionale conferma, se ve ne fosse bisogno, la grande rilevanza sociale ed anche politica del durissimo scontro contrattuale e per l’autonomia previdenziale della nostra categoria con la Federazione degli Editori. E nello stesso tempo consente di far emergere l’assurdità del muro di gomma con cui si tenta di circondare la vertenza per il contratto degli uffici stampa, previsto da una legge dello Stato.

Credo quindi che in questa sala non vi sia nessuno che non abbia ancora percepito la gravità della situazione e ignori pertanto la delicatezza delle decisioni che, al termine del dibattito tra noi, l’intera struttura di vertice e di base del Sindacato dovrà assumere. Per carità, qui nessuno vuole rinunciare alle proprie responsabilità individuali e di gruppo dirigente per scaricarle su una grande assemblea di rappresentanti delle redazioni. Tanto meno si intende investire gli altri organismi della nostra categoria di un ruolo di rappresentanza sindacale che non è loro. Abbiamo scelto però, coerentemente con il percorso e la strategia della FNSI in questi anni di mobilitazione per i contratti, di realizzare la più vasta consultazione dei giornalisti italiani, attivi e pensionati, mai realizzata, eccezion fatta per le rare esperienze di referendum. Abbiamo deciso di coinvolgere anche le elette e gli eletti nel Consiglio Nazionale dell’Ordine,nel Consiglio Generale dell’Inpgi, nell’Assemblea della Casagit, nel Fondo di Previdenza Complementare, nei Sindacati di base, nei gruppi di specializzazione sindacale e professionale. Quello che stiamo facendo non può essere considerato un “affare” del sindacato, di cui gli altri organismi possano disinteressarsi. Siamo tutti legati da filo doppio, siamo vasi comunicanti in un sistema di diritti, doveri e tutele, che si tengono l’un l’altro e che ci siamo conquistati in cento anni di storia collettiva. Certo, possiamo avere idee diverse, il dissenso all’interno e tra gli organismi deve circolare liberamente e produrre le scelte democratiche, non c’è mai l’obbligo dell’unanimismo, anzi. Abbiamo litigato, continuiamo a litigare e litigheremo in futuro. Anche in questa assemblea, guardandoci dritto negli occhi e non lesinandoci le critiche, i dissensi, le preoccupazioni, le paure. Rimproverandoci tutti gli errori che riterremo l’altro abbia commesso, a cominciare dalla Federazione della Stampa, dalla Giunta, dalla segreteria, dal Segretario Generale. Sappiamo però, e lo abbiamo detto chiaro nelle tante assemblee preparatorie di questo appuntamento. Sappiamo che stiamo affrontando la crisi più grave della nostra storia collettiva. Sappiamo che il nostro sistema di garanzie, le nostre conquiste, le nostre difese, la nostra capacità di rappresentanza a tutti i livelli, sono in discussione. Ho pregato il Direttore Generale di far distribuire i testi di recenti articoli di Nicola Tranfaglia e Furio Colombo, lucidi nell’analisi generale della situazione ma non condivisibili nelle conclusioni, perché delineano una impotenza che non può essere accettata da un sindacalista. Il sistema delle imprese dell’informazione, ritiene che sia giunto il momento di fare piazza pulita di questa nostra storia collettiva. Che è buono e giusto cambiare, “normalizzare” il giornalismo, rendere sempre più difficile, direi impossibile, rivendicare le regole, l’autonomia, i diritti di un mestiere speciale. E’ da tempo che ci stanno provando, prima silenziosamente, nelle redazioni più deboli, nelle nuove iniziative, nei nuovi media. Piccole libertà che giorno dopo giorno spariscono, norme contrattuali e prassi consolidate sempre meno applicate, diritti sindacali negati. Le redazioni sempre più svuotate di ogni capacità dialettica e propositiva. Il lavoro giornalistico appaltato all’esterno delle redazioni, a service magari costituiti da redattori licenziati o prepensionati o da contrattisti a termine e collaboratori. Ai redattori dipendenti la costruzione delle pagine, il desk e la line, ai collaboratori i servizi e le notizie. Non generalizzo, non sempre è così, ma questo appare lo scenario che la Fieg disegna per il futuro della professione. E’ evidente la volontà di cancellare il ruolo propositivo, dialettico, operativo delle redazioni, con qualche eccezione per un numero ristretto di inviati ma solo nelle grandi testate. La volontà di gestire a piacimento, senza il fastidio del sindacato, il lavoro dei giornalisti. E’ anche evidente che così si determina una subordinazione individuale e collettiva ad interessi esterni all’informazione, al racconto dei fatti. Tanto più facile quanti più sono le giornaliste e i giornalisti giovani freelance, precari, collaboratori, contrattisti a termine, stagisti. Colleghi ricattati, che sfuggono alle norme contrattuali e che è ingiusto e pericoloso consegnare ad un mercato senza regole come vogliono le imprese. Colleghi che da anni e anni sopravvivono tra stipendi ridicoli e continue vessazioni. Colleghi che certamente l’Ordine non può respingere fuori dalla professione, specie se dimostrano di conoscere ed affermare i valori deontologici e della correttezza professionale. Colleghi senza adeguate garanzie previdenziali, costretti ad iscriversi alla gestione separata dell’Inpgi e a pagare, di fatto, a loro spese tutto l’onere contributivo. Anche per questo abbiamo sollecitato il Governo a realizzare le necessarie modifiche legislative per equiparare i giornalisti lavoratori autonomi a tutti gli altri lavoratori. Speriamo, ce lo auguriamo, che finalmente non sia più obbligatorio iscriversi alla gestione separata dell’Inpgi in presenza di un reddito da lavoro autonomo inferiore a 5.000 euro all’anno. Ma, soprattutto attendiamo che per i collaboratori coordinati e continuativi l’onere dell’iscrizione alla gestione separata ricada sulle aziende editoriali e non più sui giornalisti e che la percentuale contributiva sia identica a tutti gli altri lavoratori autonomi. Le assicurazioni del Ministro Damiano ci fanno ben sperare, almeno su questo punto. Dobbiamo, per questo, riaffermare solennemente la scelta strategica non solo del sindacato, ma dell’intero giornalismo italiano di rivendicare per questi giovani e meno giovani colleghi un salario decente, rispetto umano e professionale, tutele sindacali, previdenziali e della salute. A questi nostri colleghi che non hanno un lavoro stabile, ma ormai anche a molti “garantiti”, si chiede ogni giorno, esplicitamente, di violare la deontologia professionale per affermare gli interessi di chi investe soldi e comanda, dei suoi sodali, degli amici degli amici. Stupisce che anche qualche direttore o editorialista consideri ciò normale, che addirittura si accetti di nascondere la realtà agli ispettori dell’Inpgi, magari per un malinteso senso di solidarietà per chi vive in redazione sotto ricatto, quasi senza salario, privo di contributi per la pensione e per la salute. Qualcuno si meraviglia anche che noi vogliamo discutere su come rafforzare i valori etici del giornalismo. Stupisce che alcuni, anche tra noi, considerino normale, per esempio, accettare di rendere favori alle fonti per piacere ai poteri o per far soldi e non accettino le conseguenti sanzioni deontologiche. Non aggiungo molto altro su questo anche perché non è il momento delle polemiche, e in me è forte il rispetto per tutti coloro che, nel sistema ordinistico, hanno il compito di vigilare sull’onestà dei giornalisti, sulla base di una legge professionale che va però cambiata presto. E lo chiediamo a gran voce a questo Governo così come abbiamo rivendicato una nuova legge sull’Ordine ai governi precedenti. Per questo abbiamo sostenuto con rigore l’esigenza di una nostra proposta, di una proposta di riforma dell’Ordine che nasca unitariamente dalla categoria, se non si vuole che si rafforzi la tentazione, magari anche all’interno dell’attuale maggioranza, la tentazione di rendere sempre più difficile esercitare il nostro mestiere, per esempio grazie alle nuove norme sulle intercettazioni autorizzate dalla magistratura e sulla segretezza delle indagini. Pensate che tutto ciò non c’entri con i contratti? Pensate a rinnovare i contratti, ci ha detto qualcuno, e non occupatevi dei valori della professione. Ma di che parliamo nei valori affermati nelle nostre piattaforme? Di quale percentuale aumenterà il mio, il vostro stipendio? Sono bubbole propagandistiche queste? La verità è che da 11-12 anni stiamo cercando di cambiare in positivo una realtà che spesso ci sfugge di mano. Siamo stati teneri in passato con le aziende e la controparte? Forse. Dovevamo, dobbiamo cedere alle pressioni degli editori della Fieg, dei grandi e dei piccoli? Abbiamo accettato il confronto con la Fieg senza pregiudiziali, abbiamo cercato di rinviare lo scontro quando ci siamo accorti che si avvicinava la resa dei conti voluta dagli editori, abbiamo cercato di gestire in modo responsabile scioperi e mobilitazioni, abbiamo cercato e cerchiamo di difendere le nostre rivendicazioni, a cominciare dalla dignità di chi non ha un rapporto stabile di lavoro; abbiamo scelto di mantenere un sistema di rivalutazione automatica dei nostri stipendi che garantisse una progressione fuori da logiche di carriera. Abbiamo scelto di tutelare gli stipendi e il ruolo dei quadri bassi, medi ed alti della categoria per non svendere le chance di autonomia che sono nel contratto, per rifiutare accordi individuali nei quali il ricatto diventerebbe l’arma quotidiana degli editori. Certo, qualcuno ha letto una contraddizione di merito nella nostra posizione: ci hanno accusato, a destra ed anche a sinistra, di voler difendere i garantiti e tutti i loro cosiddetti “privilegi” , e nello stesso tempo di voler rappresentare e tutelare gli interessi morali e materiali dei non garantiti. Di volere tutto e il contrario di tutto. Rivendico al gruppo dirigente della Fnsi e delle associazioni, a tutte le strutture del sindacato le scelte fatte in almeno tre congressi federali. La scelta dell’indipendenza e delle regole che la devono garantire, la scelta di estendere la rappresentanza ai più deboli, la scelta di una posizione scomoda nell’attuale fase della società italiana e mondiale. Abbiamo sbagliato? Dovevamo mollare su uno dei due fronti, dipendenti ed autonomi? Nessuno ce lo ha detto, nella categoria nessuno lo ha dichiarato apertamente. Fuori dalla categoria lo hanno invece detto in molti. E noi li abbiamo contrastati. Certo, non abbiamo alzato un muro, abbiamo cercato di ragionare, di discutere, di trovare soluzioni di mediazione con la controparte, di compiere un passo alla volta. Anche piccoli passi. Abbiamo firmato il contratto nazionale e poi il biennale economico per l’emittenza radiotelevisiva locale, con una controparte dura e ostile. Abbiamo cercato di avviare il dialogo con altre controparti, nella piccola editoria periodica, trovando finora però posizioni non mediabili. Abbiamo cercato e continuiamo a cercare di realizzare un contratto per i giornalisti degli uffici stampa della pubblica amministrazione, accettando la logica della contrattazione pubblica. Abbiamo onestamente cercato le strade del confronto con la Fieg. Vi sono stati dissensi all’interno del sindacato sulla nostra disponibilità ad accettare la proposta degli editori, avanzata un anno fa, di un accordo economico transitorio. Il muro degli editori ha accantonato questi dissensi perché la Fieg ha ritirato la proposta. Siamo tornati al quadriennale, alle piattaforme. E sappiamo che la strada di un negoziato vero, se fosse possibile domani, non sarebbe semplice per noi, ci porterebbe inevitabilmente a considerare ipotesi di mediazione che alcuni di noi riterrebbero pericolose e la discussione sarebbe accesa. D’altra parte nessuno ci propone scambi tra questo o quel capitolo delle piattaforme. Purtroppo non siamo stati nelle condizioni di entrare nel merito dei problemi, perchè non c’è stata finora una reale disponibilità della Fieg, o di chi ha voce in capitolo nella federazione degli editori, ad aprire una vera trattativa. Dico purtroppo perché lo vorrei questo confronto, con tutte le sue difficoltà. Così non è, né vale molto la considerazione che un contratto ce lo abbiamo. Teniamoci questo e lasciamo perdere lotte e mobilitazione. Non vale per tre buone ragioni: resterebbero fuori dalla contrattazione tra i 20 e i 30 mila giornaliste e giornalisti che vivono la realtà del lavoro a termine, freelance o precario. Con la conseguenza che nei prossimi anni il fenomeno ridurrebbe gradualmente il numero dei giornalisti dipendenti, creando un secondo mercato del lavoro che diverrebbe presto l’unico. La seconda ragione è che in molte aziende l’attuale contratto viene violato regolarmente sia per l’organizzazione del lavoro, sia per i diritti del sindacato. La terza ragione è che una parte degli editori, Caltagirone in testa, vuole denunciare il contratto del 2001 per tornare a quello valido erga omnes del 1959, privo della maggior parte dei diritti e delle tutele che ci siamo conquistati. Stare fermi per un tempo imprevedibile, senza rivalutazione salariale, senza aver affrontato il problema del lavoro autonomo è inoltre molto rischioso anche per un sindacato che vuole far rispettare le leggi e i contratti per quanto riguarda le scelte aziendali, le nuove iniziative la chiusura o l’apertura di nuove testate. Il dipartimento sindacale e gli uffici della Fnsi stanno gestendo con una fatica sempre più grande, e con il contributo sempre più esteso degli uffici legali, situazioni di totale deregolazione. Alcune aziende tentano di far passare stati di crisi, prepensionamenti, ristrutturazioni e riduzioni di organico, senza che la Federazione possa eccepire e almeno aiutare i cdr e i fiduciari a cercare le mediazioni necessarie. In questo quadro di attacco strisciante alle regole, e di offensiva contro le tutele dei giornalisti, si pone il problema del blocco dei rinnovi dei patti integrativi, determinato dallo stallo per il contratto Fnsi-Fieg. La questione è delicata e va affrontata con prudenza. Ne dovremo riparlare una volta esaurita questa fase, ma ho già detto alla Giunta che la Fnsi non può continuare a frenare la giusta aspirazione normativa e salariale di alcune redazioni, perché la vecchia legge sulla contrattazione vieta il rinnovo degli integrativi in presenza di una trattativa contrattuale. Qui, poi, la trattativa non c’è proprio. Il quadro sindacale va completato con un altro problema centrale: l’attacco degli editori all’autonomia e al futuro della previdenza dei giornalisti italiani. La Fieg ha avanzato una richiesta formale, presentata al tavolo del Ministero del Lavoro, di un provvedimento legislativo del Governo, per rendere pari il numero dei componenti del Consiglio di Amministrazione dell’Inpgi nominati dagli editori a quello dei giornalisti eletti. Oggi i consiglieri di amministrazione giornalisti sono 12, mentre i rappresentanti degli editori sono due. Due sono i rappresentanti del Governo e due i consiglieri nominati dalla Fnsi e dalla gestione separata per il lavoro autonomo. L’attacco è gravissimo: gli editori vogliono mettere entrambe le mani sull’Inpgi, sottrarre ai giornalisti il controllo di un sistema pensionistico e di un patrimonio di risorse che rappresenta il presente e il futuro dell’intera categoria. Vogliono soprattutto “normalizzare”, mettere nella condizione di non nuocere, il servizio ispettivo dell’Istituto che negli ultimi anni ha accertato e contestato agli editori, quasi tutti, violazioni nel pagamento dei contributi per decine di milioni di euro. Sono soldi nostri, anzi soldi che sono dovuti a migliaia di collaboratori e di abusivi che lavorano sfruttati in redazione e che non hanno spesso nemmeno una posizione previdenziale presso l’Istituto dei giornalisti. L’attacco all’Inpgi non è nuovo: l’insofferenza degli editori risale alla resistenza che la Fnsi e l’Inpgi, insieme, hanno fatto circa alcune richieste di stati di crisi immotivate e non dimostrate avanzate negli anni scorsi. Lo abbiamo detto più volte: non si può chiedere ai giornalisti di finanziare il full color o le nuove iniziative editoriali o multimediali con i soldi dell’Inpgi. Abbiamo sempre fatto la nostra parte di fronte alle crisi vere, quelle dimostrate. L’Inpgi ha fatto la sua parte con rigore come è giusto, nel rispetto delle leggi. Ma abbiamo il diritto, fissato dalla legge e dal contratto, di dire la nostra come Inpgi, come Fnsi, come Associazioni regionali e come cdr in tutte le sedi. In azienda, nella sede sindacale nazionale, nella sede del Ministero vigilante, il Lavoro, al quale sono demandati i giudizi finali sulle richieste di riconoscimento delle crisi. Ci hanno accusato di utilizzare l’Inpgi come arma impropria contro le aziende, di fare le ispezioni durante gli scioperi. Gabriele Cescutti ha giustamente contestato queste false affermazioni. L’Inpgi è ente autonomo anche dal sindacato ed ha compiti fissati dalla legge ai quali non può e non deve sottrarsi. Per questo difendere l’Istituto e lottare per questo, come abbiamo fatto più volte in passato, rappresenta un dovere per l’intera categoria. Così come è un dovere tutelare la solidità del Fondo di previdenza complementare dei giornalisti, creato su iniziativa della Federazione sulla base di una legge che garantiva condizioni fiscali vantaggiose soprattutto ai vecchi iscritti. Il Fondo è cresciuto e si candida ad accogliere la parte dei trattamenti di fine rapporto che i giornalisti riterranno di affidare al loro fondo contrattuale, in base alla nuova legge. A differenza dell’Inpgi, che è Ente sostitutivo della previdenza obbligatoria dell’Inps, il Fondo è gestito da un consiglio paritetico di editori e giornalisti, così come prevede la legge per i fondi contrattuali. E’ un dovere per noi tutti difendere il presente e il futuro della Casagit, nel momento in cui la cassa integrativa sanitaria dei giornalisti si appresta a fornire prestazioni anche alle colleghe e ai colleghi più deboli, ai freelance, ai contratti a termine, ai collaboratori. Gli editori hanno cercato e cercano di delegittimare e di mettere in crisi sia il Fondo che la Casagit, con una strategia di attacco che appare immotivata anche perché i nostri organismi di categoria consentono condizioni vantaggiose alle imprese, per esempio per quanto riguarda il livello dei contributi previdenziali. Sto parlando di noi, è vero, e qualche osservatore esterno potrebbe accusarmi di svolgere considerazioni che delineano un atteggiamento di chiusura corporativa, di difesa dell’esistente. Non credo che questo sia nelle cose che ho detto. Nel nostro Paese grandi o piccole categorie sociali difendono con orgoglio i diritti conquistati e, talvolta, anche i loro privilegi. Non siamo né tassisti, né notai, né avvocati. Non siamo i magistrati, che giustamente non pensano nemmeno lontanamente di rinunciare all’organo di autogoverno costituzionale del Consiglio Superiore, nel quale, appunto, magistrati giudicano gli errori degli altri magistrati. E solo con la minaccia di uno sciopero inducono il Governo a ritirare ogni ipotesi di riduzione dei livelli dell’adeguamento automatico delle loro retribuzioni. Non siamo un potere costituzionale, siamo il cosiddetto quarto potere, per la verità un po’ logorato. Ma possiamo ritenere che il giornalismo abbia nella società italiana il ruolo di garantire il diritto dei cittadini ad essere informati che, fra l’altro, la Costituzione prevede? Ed allora la nostra autonomia, l’indipendenza dei media e dei singoli giornalisti, indispensabile in un sistema democratico per offrire una chance alla completezza dell’informazione, sono questi valori corporativi? Ritengo che nessuno pensi, nelle istituzioni, tra le forze politiche, nel mondo economico e sociale, nell’associazionismo e tra i consumatori, che il Paese ha bisogno di un giornalismo “normalizzato”, piegato, debole, che rinuncia a battersi per affermare il proprio ruolo e i propri diritti. In Italia e nel mondo l’organizzazione sindacale rappresentativa dei giornalisti italiani ha avuto ed ha un ruolo riconosciuto, da alcuni contestato, ma limpido, forte. Abbiamo condotto grandi battaglie negli ultimi anni, alcune vinte altre perse. Ci siamo battuti per il pluralismo dell’informazione, per combattere il conflitto di interessi, per regole antitrust, per difendere il ruolo del servizio pubblico, per una più equa distribuzione delle risorse. Non ci siamo fermati né intendiamo fermarci oggi. Non abbiamo fatto ne’ faremo sconti a nessuno. Ed intendiamo dire la nostra, anche esprimendo forti critiche se necessario, sulle riforme di sistema e sulle leggi che riguardano l’attuazione dell’articolo 21 della Costituzione. Oggi viviamo un momento difficilissimo. E’ vero: non abbiamo rinnovato il contratto Fieg e non abbiamo ancora sottoscritto quello degli uffici stampa. Qualcuno continua a farcelo notare. Siamo a questo punto proprio perché difendiamo con le unghie e con i denti i diritti di “tutti” i giornalismi, delle redazioni, dei dipendenti, dei cosiddetti “garantiti”, ma specialmente dei più deboli. E’ una vertenza politica la nostra, che affronta i principali temi del dibattito nelle istituzioni. L’intervento del Presidente della Repubblica, dei Presidenti della Camera e del Senato, dei principali leader della maggioranza e dell’opposizione, la stessa proposta di una mozione in Parlamento firmata dai principali gruppi politici che sostengono il Governo, sottolineano il diritto alla contrattazione e l’esigenza di difendere un giornalismo libero e indipendente da tutti i poteri e da tutti gli interessi. E’ forse, una delle vertenze sindacali nazionali degli ultimi anni con il più alto significato politico. Anzi, “è”,lo ripeto, una vertenza politica, che si lega strettamente alle battaglie di libertà e di autonomia che abbiamo condotto e conduciamo. E’ una vertenza nella quale una parte imprenditoriale nega addirittura il diritto alla contrattazione collettiva, in contrasto con l’opinione pubblicamente espressa da Giorgio Napoletano. E’ una vertenza che si lega alle riforme che il Governo Prodi ha proposto, quella del sistema radio televisivo proposta dal Ministro Gentiloni, quelle sul lavoro e sul precariato , preannunciate dal Ministro del Lavoro (a cominciare dalla revisione della legge 30, che tanto preoccupa i nostri editori), quella dell’editoria che il sottosegretario Levi ha collocato al centro di una vasta consultazione delle forze sociali e dei soggetti interessati. Un progetto complessivo nel quale non è ancora presente una soluzione definitiva del problema del conflitto di interessi e sembra lontana la modifica dei criteri di nomina del cda della Rai, indispensabile per sottrarre il servizio pubblico radiotelevisivo da una forte influenza della politica e dei partiti. In questo vasto disegno riformatore, che ha l’obbiettivo dichiarato di aumentare il pluralismo dell’informazione e di affrontare seriamente le regole del lavoro e combattere il precariato, ci si può riconoscere o meno. Ma è indubbio che il giornalismo italiano debba rappresentare un forte e credibile interlocutore. Nei prossimi mesi, se tutto procederà come indicato, si cambieranno in tutto o in parte le regole dell’informazione e del lavoro. Per questo abbiamo accettato la proposta di confronto a 360 gradi avanzata dal Governo, avanzata da due note congiunte del sottosegretario Levi e del Ministro Damiano, e siamo pronti a portare il nostro contributo. Sappiamo, noi e il Governo, che gli squilibri del sistema vanno superati, che il nuovo deve essere il terreno della sfida per il pluralismo e la qualità, che il digitale e le connessioni tra i media aprono nuovi massicci spazi ad una informazione che non può essere solo un business. Sappiano però che lo scontro epocale che gli editori hanno voluto si mette oggettivamente di traverso rispetto ad una strada di confronto e di decisioni, che ovviamente spettano al Parlamento, ma che non possono prescindere da un dialogo sociale che la stessa Fieg ha apprezzato e usato quando negli scorsi decenni sono state varate le leggi, come la 416 e la 62, che hanno aiutato molto le grandi trasformazioni tecnologiche e gli stessi profitti dell’editoria. Allora il tavolo triangolare andava bene, specie se apriva la strada ai prepensionamenti dei poligrafici e dei giornalisti. Adesso, per gli editori, questo dialogo preoccupa: sono disposti a portare il “loro contributo”, ma senza confusioni di ruoli, cioè solo se c’è un vantaggio in termini economici ma senza assumere alcun impegno nei confronti del mondo del lavoro, del Sindacato dei giornalisti in particolare. E’ così o no? E’ questo il senso della risposta del Presidente Biancheri alla proposta di Levi e Damiano? Il contratto dei giornalisti è una prospettiva davvero rimossa da un quadro di rinnovamento delle regole della comunicazione? Noi ci ostiniamo a pensare che non sia ragionevole per nessuno rifiutare il dialogo, anche se questo costa fatica ed un dibattito interno anche duro. Perché se si tratta si deve giungere ad una mediazione, prima o poi, e le mediazioni comportano rischi per tutti, non solo per gli editori. Il gruppo dirigente della Federazione della Stampa conosce alla perfezione i mandati che gli sono stati affidati dalla categoria, la necessita di rafforzare, non di ridurre, l’autonomia del singolo e dei collettivi redazionali, di rispondere alle istanze di dignità del lavoro autonomo. Ma sappiamo anche che un sindacato moderno sa ricercare le soluzioni migliori per difendere i diritti dei propri rappresentati tenendo conto che la realtà non è ferma e che l’arroccamento e il rifiuto del dialogo non pagano, indeboliscono il sindacato e la contrattazione. Con questo spirito abbiamo dichiarato di essere disposti a discutere senza pregiudiziali la piattaforma degli editori, le loro richieste meno digeribili, ma chiedendo nel contempo che sia garantita pari dignità alle nostre richieste. Al Ministro Damiano, che dal giorno della sua nomina sta lavorando per favorire il confronto, abbiamo anche dichiarato che siamo disposti a mettere in un cassetto la nostra piattaforma, visto che gli editori dichiarano di non voler trattare i 77 punti rivendicativi dei giornalisti (i loro 45 punti invece li vogliono trattare, anzi vogliono che li accettiamo a scatola chiusa). Allora, facciamo un passo entrambi, accantoniamo le piattaforme e parliamo dei problemi. Noi sappiamo quali sono le questioni che vogliamo discutere con gli editori, subito, nei prossimi giorni. Ma loro sono disposti a fare altrettanto? Certo, la Fnsi non è disposta a rinunciare ai principi per i quali da oltre tre congressi si batte, ma chiediamo alla Fieg di raccogliere la sfida, di smetterla di darsi alla fuga . Finora gli editori hanno risposto due volte no al Ministro Damiano che proponeva tavoli tecnici di verifica delle posizioni. Sono venuti al tavolo tecnico sulla previdenza per chiedere al Governo una legge che consenta loro, agli editori, di controllare l’Inpgi. Il Governo non si è fermato, ha proposto un tavolo sull’editoria, sull’informazione. E’ una strada che consente a tutti di parlare di cose reali, nell’ambito di un confronto a tutto campo che si prefigga di migliorare la qualità dell’informazione, di accrescere il pluralismo, di favorire l’innovazione. Beni essenziali per una sana democrazia. In questo ambito il Governo propone di aprire il tavolo contrattuale. E’ uno scandalo? Nessuno nel Governo stesso credo proponga mediazioni ultimative alle parti, tutto è chiaro. Ed è chiaro che noi, la FNSI, ci stiamo. Perché non provarci, dare una disponibilità al negoziato, come ha fatto la Fieg, e poi affrettarsi a ritirarla non è una dimostrazione di forza , è una dimostrazione di debolezza, di incapacità ad affrontare i problemi reali. E’ possibile che Carlo De Benedetti, Franco Caltagirone, Antonello Perricone, Andrea Riffeser, Luca Cordero di Montezemolo, Silvio Berlusconi, Mario Ciancio Sanfilippo e gli altri editori, grandi o piccoli, i loro manager, coloro che devono far quadrare i conti delle aziende, continuino a sollecitare il loro collega Alberto Donati, responsabile per i contratti della Fieg, a fare terra bruciata nelle relazioni sindacali ed a distruggere la previdenza autonoma dei giornalisti? Ed è possibile che un ambasciatore, Boris Biancheri, presidente della Fieg, continui a farsi interprete della linea del muro contro muro? E’ possibile che i dirigenti della Rai, Petruccioli e Cappon, non riescano ad assumere una iniziativa pubblica, forte, per la ripresa del dialogo, discutendo subito con i rappresentanti dei loro quasi 2000 giornalisti? C’è qualcosa di perverso in tutto ciò. E se i giornali sono in una difficile situazione, se non riescono davvero a programmare la loro attività perché i giornalisti costano, sarebbe davvero utile, soprattutto per loro, discuterne tutti insieme. Noi pensiamo che ci siano forzature evidenti nella posizione delle imprese. Vediamo editare quotidiani, mensili e settimanali, gli allegati ricchi di pagine (migliaia) per lo più riempite di pubblicità. Vediamo pubblicati bilanci positivi delle maggiori aziende editoriali, ed altri purtroppo negativi. Nonostante i nostri dubbi noi, ostinati, vogliamo credere che la disponibilità degli editori al confronto possa ancora manifestarsi nei prossimi giorni: spero davvero che la loro posizione cambi, che sia possibile sospendere la stagione del conflitto e che si apra quella del dialogo, difficile, duro quanto si vuole, tra posizioni fortemente diverse, ma che sia possibile discutere. Per questo chiedo al Governo di andare avanti, di convocare il tavolo di confronto preannunciato dai Ministri Levi e Damiano, chiedo al Ministro del Lavoro di esperire tutti i tentativi per sbloccare la riforma della previdenza dei giornalisti. Chiedo al Ministro Gentiloni di sentire tutti i soggetti sociali sul suo disegno di legge. Chiedo che tutto ciò sia fatto al più presto. E se, nonostante la nostra disponibilità e il lavoro del Governo, una volontà positiva della Fieg non dovesse emergere? Beh! Noi non possiamo che rimettere la decisione all’assemblea degli Stati Generali dei giornalisti italiani con le proposte di mobilitazione e di lotta nazionali, territoriali, aziendali, da attuare subito, nelle prossime settimane, così importanti per la pubblicità e i conti delle aziende. Non vedo altra strada. A noi il conflitto non piace, preferiamo il dialogo e gli accordi. La nostra, l’ho già detto, non è una battaglia corporativa, non abbiamo nulla a che vedere con chi si agita per pagare meno tasse o per difendere dei privilegi. Noi difendiamo l’autonomia e le regole della nostra professione, regole scritte e condivise con le nostre controparti. Noi difendiamo il diritto dei cittadini italiani ad avere una informazione di qualità. La nostra è una battaglia di civiltà, per la libertà dell’informazione, per il pluralismo, per la dignità di tutte le mie colleghe e i miei colleghi. Nessuno può pensare che il Sindacato unico e unitario dei giornalisti, che la Federazione della Stampa e tutte le strutture della nostra organizzazione siano intenzionati a mollare. Nessuno può pensare che il giornalismo italiano nel suo complesso, rinunci alla propria storia ed al proprio futuro.

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