Da Panorama on line – numero 12 del 30 giugno 2006 – Quindicinale per la Comunità Nazionale italiana di Croazia e Slovenia Articolo di Diana Pirjavec Rameša Coordinatore del gruppo che capeggia i giornalisti del Mediterraneo, ma anche presidente della FNSI (Federazione nazionale stampa italiana), Franco Siddi è stato di recente a Parenzo ad un convegno dedicato a mass media, pluralismo dell'informazione e strategie sindacali da attuare nell'area del Mediterraneo.
Mi racconti di questa iniziativa promossa dall'IFJ (Federazione internazionale dei giornalisti) e capitanata, in un certo senso, dall'Italia? L'Organizzazione internazionale dei giornalisti, recuperando l'impegno sociale, professionale sindacale nell'ottica internazionale di tutti i giornalisti, anche delle aree che non conoscono questa esperienza (Egitto e alcuni Paesi arabi) ha deciso di lanciare questa esperienza già parecchi anni fa. Siamo alla settima conferenza che ha per scopo rafforzare la cooperazione mediterranea, ritenendo che ci sono degli aspetti di identità e di cultura che determinano legami speciali all'interno di un sistema dell'informazione che, comunque, vogliamo democratico e pluralistico. Non c'è dubbio che nel sistema organizzativo della Federazione internazionale dei giornalisti (IFJ) in questa fase ci sia una forte predominanza degli interessi dei Paesi del nord che noi non vogliamo vedere in conflitto, ma che vogliamo avvicinare, promuovendo una maggiore e più intensa partecipazione dei giornalisti del sud del bacino Mediterraneo alla cooperazione internazionale. Riteniamo che la cooperazione sia una base fondamentale per portare solidarietà ai giornalisti, per poter tutti insieme acquisire il meglio dei sistemi organizzativi, produttivi e legislativi che si sono realizzati negli anni, confrontarli con l'esperienza dei Paesi del nord, ma soprattutto metterli in relazione ai grandi movimenti democratici presenti nei Paesi di nuova democrazia e questo è, credo, il compito principale che il Coordinamento del Mediterraneo va ad assumere. Il tutto va fatto in un'ottica e con una visione che tiene conto di modelli e stili di vita che sono poi legati alle culture e all'ambiente e che rendono necessaria questa attività di raccordo. Abbiamo un problema che è quello di realizzare condizioni organizzative efficaci di cooperazione permanente, essendo noi un gruppo informale non disponiamo di strutture vere e proprie. Abbiamo creato un piccolo Segretariato che ha base in Italia, avendo l'Italia il sindacato più antico dei giornalisti, un sindacato che ha quasi cento anni, sindacato che ha una grande tradizione di contrattazione collettiva del lavoro. Abbiamo realizzato 27 contratti di lavoro nazionali in questi 98 anni e oggi il nostro sindacato vuole mettere a disposizione questa sua esperienza perché si possa diffondere sempre di più l'attività sindacale e di tutela del giornalista: vogliamo ritenere, infatti, che quella del giornalista sia una professione che, certamente, lo possono fare in tanti; è certamente una professione delicata in quanto deve fornire ai cittadini gli elementi di conoscenza, elementi di giudizio delle situazioni nelle quali i cittadini stessi si vengono a trovare perchè, liberamente, possano formare le proprie opinioni e attraverso un'informazione plurale possano confrontare diverse idee, comprendere la complessità del mondo e della propria realtà. L'informazione è la base della società democratica: questo è un concetto di fondo. Quali sono i problemi che le società di giovani democrazie, e mi riferisco ai Paesi che fanno riferimento al bacino del Mediterraneo, incontrano in questo percorso verso un'informazione quanto più corretta e fatta con alti criteri professionali? La cosa più delicata che noi rileviamo è la difficoltà che c'è in tutti i Paesi a fare i contratti collettivi di lavoro. Abbiamo visto che alcuni Paesi di nuova democrazia riescono a fare qualche contratto aziendale con le singole imprese. È un'esperienza, questa, presente nel nord Europa. I francesi hanno 12 contratti che sono contratti di settore: di giornali nazionali, provinciali, regionali, giornali settimanali, mensili, di varie categorie di stampa, in Germania ci sono degli accordi per dei salari minimi per i giornalisti, ma poi il resto viene contrattato con le singole aziende. In Italia è da un anno e mezzo che tentiamo di rinnovare l'ultimo contratto. Si sta diffondendo un clima di sregolamentazione, diciamo così che appartiene a questo processo di modernità capitalistica che ancora non ha creato i nuovi equilibri tra capitale e lavoro. Noi vorremmo cercare di avvicinare le due cose attraverso la politica di concertazione, non è facile, perché gli editori non ci sentono e perché tutto ciò è contrario all'interesse di realizzare un profitto immediato e nei Paesi di nuova democrazia, nei Paesi emergenti e nei Paesi che sono usciti da conflitti o che hanno lasciato la tradizione comunista e si sono aperti alla democrazia, c'è, comunque, una diversità di rappresentazione del sistema rispetto all'Italia, alla Francia, alla Spagna, perché non ci sono le organizzazioni che raggruppano le imprese. Ecco, in Italia si può fare il contratto perché c'è una forte rappresentanza sindacale dei giornalisti da una parte e, dall'altra, c'è un'Associazione di tutti gli editori. Adesso, sono un po' divisi ed è per questo che non si riesce a fare il contratto, ma è risolvibile. Purtroppo, in Marocco, in Algeria, in Croazia non avete un vero e proprio interlocutore. Il problema è come creare la rappresentazione sociale del problema, come determinarla, perché una democrazia è fatta da leggi è fatta da parlamenti, ma anche dalle forze sociali e dalle esperienze organizzative che pur non stando in parlamento vivono concretamente i problemi, li organizzano, ne traggono un profitto le imprese, offrono un lavoro ai giornalisti... Di fronte a questo sistema di così grandi differenze è necessario cercare di promuovere lo sviluppo di una legislazione di equità e di giustizia sociale, di una legislazione in cui l'informazione abbia un ruolo fondamentale per esprimere e garantire libertà, per valorizzare la capacità dei cittadini di ogni regione di autodeterminare il proprio futuro attraverso scelte, appunto, democratiche. Io amo dire che l'informazione oggi è un bene, non è una merce qualsiasi, è un bene essenziale, come il pane. Alla fine della della guerra, penso in Italia, la gente aveva fame, voi una guerra la avete avuta anche di recente.. In Italia dopo la guerra il problema principale era avere da mangiare, era la sopravvivenza, ma... man mano che si esce da questo disagio primario io credo che la persona deve aver bisogno di sviluppare le proprie relazioni di vita in un clima della massima libertà e della massima conoscenza, partendo dall'informazione, professionale, pulita, corretta. Servono operatori, quindi, giornalisti qualificati, serve molta formazione, formazione etica, formazione deontologica, serve che i giornalisti possano vivere la propria vita con dignità e con il riconoscimento di tutti i valori del loro lavoro, che sono valori morali, ma che sono anche valori materiali, vale a dire salari. Un giornalista oppresso, un giornalista marginalizzato, un giornalista precario è un giornalista poco libero e quindi c'è il rischio che in queste condizioni l'informazione sia magra, debole. Per dirla in sintesi, per conservare la nostra autonomia professionale e l'etica che l'accompagna bisogna assicurare condizioni economiche degne, non è che vogliamo imporle, noi vogliamo negoziarle con gli editori, con i proprietari dei media, perché crediamo che l'informazione non sia proprietà esclusiva dei giornali, come non lo è neanche dei giornalisti, il riferimento principale deve essere quello del lettore, dei cittadini. In questo senso noi vogliamo dar vita a una una grande iniziativa contro la precarietà del lavoro e quindi chiediamo alle autorità dei singoli paesi di adottare il Codice europeo di deontologia del giornalismo e di legiferare per riconoscere i diritti all'autonomia professionale quale condizione essenziale del primato della notizia, del primato della libertà di informazione su ogni altro interesse. Crediamo che vadano creati degli organismi di vigilanza per il rispetto dell'etica e anche per il rispetto delle regole del lavoro giornalistico. Pensiamo che in questo contesto i Paesi, come anche i governi debbano aiutare i processi di partenariato i processi di interscambio culturale, professionale, per arricchire il giornalismo, considerando che identità diverse e lingue diverse sono le ricchezze dei popoli in un cammino comune di democrazia. In Italia c'è stato il cambio di governo. Cosa può significare tutto ciò per il sindacato. Sappiamo, infatti, che il clima, in passato, non è stato proprio favorevole per i sindacati italiani in genere? Certamente, il nuovo clima politico sembra determinare una condizione nuova di dialogo, di confronto prima e di dialogo poi, con le istituzioni e con la stessa politica. Noi abbiamo avuto, nei cinque anni precedenti, un governo fortemente liberista e caratterizzato da un notevole conflitto d'interesse che è noto a tutto il mondo, che considerava il confronto con le organizzazioni sociali e professionali un surplus del proprio lavoro e non una condizione che può dare progresso. Questo nuovo governo italiano ha dato l'idea di voler partire dall'impostazione delle politiche sociali e economiche, dal confronto e da una condizione che in Italia si chiama concertazione: discutiamo insieme, governo, sindacati, organizzazioni culturali, a seconda dei temi che si devono affrontare, cercando di trovare delle soluzioni avanzate il quanto più possibile. Questa linea di indirizzo si è già manifestata. Come poi concretamente la cosa si realizzerà è da vedere... noi abbiamo già visto qualche cambiamento: in poco tempo ci sono stati già degli incontri per affrontare determinati problemi, per fare un'agenda. Noi abbiamo un contratto aperto e abbiamo chiesto che il governo non faccia da spettatore, ma che lavori, perché quando ci sono conflitti tra proprietari e lavoratori, e quindi, come nel nostro caso, tra editori e giornalisti, intervenga cercando di favorire una soluzione negoziale. A noi in questo senso ci è stato dato un impegno, ora vediamo.... Siddi, tu oltre a essere Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana hai un altro incarico importante e di grande interesse per noi italiani che viviamo in Istria, a Fiume e in Dalmazia... Sì, sono membro del Consiglio generale degli italiani all'estero (CGIE) che è istituito presso il MAE ed è un organo consultivo del Ministero degli esteri per sostenere le politiche a favore degli italiani all'estero con l'obiettivo di considerare gli italiani all'estero una risorsa del Paese che va supportata perché l'identità italiana è un bene in sé, non necessariamente un bene come dire... materiale, ma un bene in sé; ciò significa che l'Italia ha dei punti di ascolto e dei punti di comunicazione oltre il suo territorio che ne esprimono la cultura e la lingua, una capacità per gli italiani all'estero di rapportarsi al Paese di residenza, ma anche di nascita, di rapportarsi con caratteri culturali che sono interessanti per più temi. Certamente, quelli che si occupano di economia pensano essenzialmente ad un veicolo privilegiato per promuovere il sistema Italia, quelli che si occupano di made in Italy e quindi di stile, di ristorazione, di moda, pensano che sia un'opportunità in più per far valere la loro attività. In generale l'Italia considera che questa risorsa italiana è una risorsa utile anche per la politica democratica dello stesso Paese e con l'elezione, per esempio, dei parlamentari italiani tra i cittadini presenti all'estero, si realizza un esperimento quasi unico al mondo, attraverso il quale le comunità italiane presenti all'estero, che vivono interamente la propria vita nei Paesi d'origine sono integrate, partecipano alla vita democratica di quei Paesi, ma sono in grado di portare anche, attraverso i parlamentari eletti in Italia, un bagaglio di esperienze che sono sociali, che sono culturali che sono professionali, economiche, che sono elementi di civiltà. Nell'epoca del multiculturalismo, dell'integrazione queste cose diventano secondo me molto importanti. Il CGIE concorre a realizzare progetti di cooperazione, di interscambio, cerca di popolarizzare la lingua italiana, e quindi tenere le reti di comunicazione degli italiani nel mondo, non perché questi siano ghetizzati nel luogo di origine, ma perché non perdano il loro carattere distintivo che è quello italiano, affinché nel mondo in cui vivono abbiamo una ricchezza in più da proporre. Io credo che un cittadino che ha, in qualche modo, lo dico tra virgolette, due nazionalità, è più ricco, indipendentemente dal fatto se sia ricco economicamente. Io partecipo ai lavori del Consiglio generale per l'informazione in seno alla CGIE e sostengo che l'Italia deve fare molto di più. La stampa all'estero è sostenuta con contributi finanziari che sono stati stabiliti in cifra fissa sei anni fa e siamo sui 2 milioni di euro, che è una cifra oramai irrisoria e che bisognerebbe come minimo raddoppiare. Noi abbiamo fatto questa richiesta, ma sappiamo che l'Italia in questo momento ha difficoltà, però credo che il nuovo vice ministro per gli italiani all'estero, Franco Danieli, dovrà occuparsi in primo luogo di questo, potenziando l'informazione italiana all'estero, attraverso una verifica della sua qualità, perché, ovviamente, non tutto è finanziabile. Le pubblicazioni, le stampe, che hanno un carattere preciso, che sono strutturate in termini professionali devono essere sostenute con efficacia, perché questi strumenti di informazione sono strumenti qualificati, professionali e pluralisti.