Sì a una riforma dell'editoria che dia respiro, regole e finanziamenti certi, stabilità e trasparenza al settore e si occupi del riequilibrio del mercato della pubblicità, no a una legge che penalizzi pluralismo e qualità dell'informazione e discrimini le piccole realtà editoriali. Associazioni, operatori e politici si sono dati appuntamento a Roma per parlare della ''riforma dell'editoria tra tecnologie e pluralismo''. Un'assemblea organizzata da Mediacoop, Fnsi, Comitato per la libertà e il diritto alla informazione, alla cultura e allo spettacolo, Articolo 21, Slc-Cgil, Fisc, Agci, Confcooperative Federcultura e Uspi.
''L'editoria è in una situazione di transizione tecnologica, contenutistica, di ruolo e in un mercato con derive che, se non corrette, mettono in discussione il pluralismo e il contributo fondamentale che l'editoria e l'informazione devono recare alla democrazia del Paese'', spiega Primo Salani, presidente di Mediacoop, nella sua relazione d'apertura, aggiungendo che occorre ''un intervento complessivo, più ampio di quanto non prefiguri la legge delega, in discussione in Parlamento''. In questo contesto il Fondo per l'editoria, passato dai 414 milioni del 2009 ai 138 milioni del 2012 per arrivare ai 57 milioni previsti per il 2013 a fronte di un fabbisogno di circa 140 milioni, assume un ruolo strategico nella tutela di testate, altrimenti destinate a scomparire. Un fondo che - chiedono le associazioni - dovrebbe essere impostato su base triennale. ''Il rischio - afferma il segretario della Federazione della stampa Franco Siddi - è che il sistema vada in default. L'editoria va sostenuta anche con l'introduzione del credito d'imposta e favorendo incentivi e sgravi per l'occupazione''.
Un punto, quello sul Fondo, condiviso da molti. Come Francesco Zanotti (Fisc) per il quale ''non è un regalo.
Togliere risorse è come mettere un bavaglio'', o come Caterina Bagnardi (presidente File) per la quale ''decidere sulle risorse per il fondo all'editoria significa avere un potere di vita o di morte su un segmento importante dell'informazione nazionale. Il sostegno al settore deve essere regolato da una legge che non abbia margini di discrezionalità''. Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, propone al Governo di ''destinare una quota parte dell'annunciata asta per le frequenze digitali al Fondo per l'editoria''. D'accordo con Giulietti, Vincenzo Vita (Pd) che sostiene la necessità di ''ridistribuire parte delle risorse dell'asta a tutta l'editoria, soprattutto minore. Una riforma del settore è necessaria - dice il senatore - anche per supportare il passaggio non semplice al digitale''.
Il problema delle legge delega sta anche e soprattutto nei tempi stretti per la sua approvazione, data la prossima scadenza della legislatura. ''L'obiettivo minimo - spiega Ricardo Franco Levi (Pd) - è l'approvazione alla Camera, ma dobbiamo ridurre le nostre ambizioni e ridurre il campo d'intervento al sostegno pubblico all'editoria quotidiana e periodica''. (di Claudia Fascia) (ROMA, 20 NOVEMBRE - ANSA)
EDITORIA:MEDIACOOP, RIFORMA PIU' AMPIA RISPETTO A DELEGA
Un intervento complessivo, più ampio di quanto prefigura la Delega per la riforma dell'editoria che è in discussione alla Camera. Lo ritiene necessario il presidente di Mediacoop, Primo Salani, perché "l'editoria è in una situazione di transizione tecnologica, contenutistica, di ruolo e in un mercato con derive che se non corrette mettono in discussione il pluralismo e il contributo fondamentale che l'editoria e l'informazione devono recare alla democrazia del paese".
Le considerazioni e le perplessità a proposito del testo della riforma dell'editoria sono state avanzate nel corso dell'intervento di apertura dell'assemblea tema "La riforma del l'editoria tra tecnologie e pluralismo", in corso presso l'hotel Nazionale a Roma, organizzata da Mediacoop, Federazione nazionale della stampa italiana, Cgil, Articolo 21, Confcooperative, Sindacato dei lavoratori della comunicazione, Uspi, Agci e Comitato per la libertà e il diritto all'informazione, alla cultura e allo spettacolo.
In sintesi, il presidente di Mediacoop ha chiarito che la riforma dovrebbe definire con chiarezza il prodotto editoriale, tenendo conto di tutte le nuove forme di produzione dell'informazione; sostenere la riqualificazione professionale e favorire i processi di uscita delle professionalità non riconvertibili; favorire e garantire la figura dell'editore puro. Un punto particolarmente delicato dovrebbe inoltre riguardare la pubblicità, prevedendo il riequilibrio del mercato, riducendo i tempi disponibili e costruendo efficaci forme di controllo e penalizzazione degli sforamenti.
Il segretario generale dell'Fnsi, Franco Siddi, ha invece posto l'accento sulla necessità di "sostenere il credito dell'editoria attraverso l'introduzione del credito d'imposta e favorendo l'occupazione qualificata e stabile anche attraverso incentivi e sgravi. Chiediamo al sottosegretario Peluffo di riceverci - ha concluso Siddi - ascoltare le nostre richieste e portare le nostre istanze in Consiglio dei ministri". (ROMA, 20 NOVEMBRE - AGI)
ART.21, PARTE RISORSE ASTA FREQUENZE A FONDO NAZIONALE
"Il governo ha annunciato l'asta per le frequenze digitali. Un'asta che deve essere fatta devolvendo parte di quanto ricavato al Fondo per l'editoria e l'emittenza".
È la proposta avanzata dall'associazione Articolo 21, attraverso il suo portavoce Giuseppe Giulietti, e ribadita nel corso dell'incontro sul tema "La riforma dell'editoria tra tecnologie e pluralismo", in corso all'hotel Nazionale a Roma.
"Si tratta - ha proseguito Giulietti - di una grande questione democratica e di salvaguardia dell'articolo 21 della Costituzione. Il governo - ha aggiunto - ha fatto decreti su tutto tranne che sul conflitto di interessi per non disturbare il titolare di questo conflitto. Noi riteniamo che la nostra proposta consentirebbe di far pagare una piccola quota parte a chi ha creato un mercato malato".
Il senatore del Pd, Vincenzo Vita, ha ripreso il tema dell'asta sottolineando come si stia profilando come "una vera e propria stangata della quale vorremmo sapere l'ammontare. Si tratterà - ha chiesto provocatoriamente – di un'asta o di un discount". Anche lui ha sostenuto la necessità di "ridistribuire parte delle risorse di questa asta a tutta l'editoria, soprattutto quella minore". A proposito del Fondo per l'editoria e l'emittenza, il presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, Franco Siddi, ha ribadito la necessità di impostare una programmazione triennale e non di stabilirne l'ammontare annualmente. "In questo modo - ha osservato - sarebbe possibile effettuare una programmazione di più ampio respiro al momento impossibile".
Per il presidente di Mediacoop, Primo Salani, "il Fondo per l'editoria non appare uno strumento superato, o parassitario, ma strategico. Delimitato nella sua destinazione alle forme di produzione di informazione ritenute meritevoli di sostegno per il oro contributo a un'editoria autogestita indipendente, qualificato e organizzato, deve però - ha concluso - essere adeguato alla natura dei compiti che deve tutelare. Occorre - ha ribadito anche Salani - che abbia un respiro triennale che consenta una minima certezza sul suo ruolo nelle politiche aziendali e che sia coordinato con le altre forme di intervento e aperto - ha concluso - alle nuove forme di produzione di informazione". (ROMA, 20 NOVEMBRE - AGI)
GLIA ATTI DEL CONVEGNO
Relazione di apertura di Primo M. Salani
Una Delega problematica per la strumentazione legislativa, per i contenuti e per i tempi di attuazione
La Delega per la Riforma è in discussione alle Camere. Un primo problema è proprio la congruità dello strumento legislativo proposto dal Governo di cui parlerà l’On Levi che è Relatore di questo Provvedimento. Le obiezioni che le Organizzazioni, che hanno promosso questo incontro, hanno avanzato alla Commissione Cultura della Camera sono presenti in molti di documenti in distribuzione, per questo, per la ristrettezza dei tempi, mi limiterò a chiarire la nostra perplessità, per non dire preoccupazione, lasciando agli interventi previsti se riprenderli o completarne la presentazione.
La perplessità dipende dall’idea che affidando al Governo questa riforma si continui in una lettura del problema dell’informazione in chiave amministrativistica e come una competenza del Governo. Questo secondo noi non è accettabile, ma, soprattutto, può condizionare il modo come affrontare proprio la riforma. Paventiamo, in altri termini, il rischio di una lettura in qualche modo “continuistica” e fortemente condizionata dalla contingenza e, in essa, dalla priorità dei tagli e dell’equilibrio dei conti dello stato.
Se una riforma deve essere fatta, deve avere le risorse per essere perseguita e il prevalere delle angustie presenti non potrebbe che suggerire un intervento tampone che difficilmente si sottrarrebbe all’accusa di assistenzialismo.
Noi siamo convinti che occorra un intervento complessivo, più ampio di quanto non prefigura la Delega. L’editoria è in una situazione di transizione tecnologica, contenutistica, di ruolo e in un mercato con derive che se non corrette mettono in discussione il pluralismo e il contributo fondamentale che l’editoria e l’informazione devono recare alla democrazia del paese.
Questo deve avvenire in modo che si tenga conto, più di quanto non si è tentato nel passato, di tutti i raccordi con il tema più generale della comunicazione. Perché sempre più sono le intersezioni, le contaminazioni, tra le diverse piattaforme e unificante è il mercato della pubblicità. Credo che non sia stato un caso se l’ultimo tentativo del Parlamento di affrontare il problema ha cercato una soluzione che prevedesse tre leggi relative appunto all’editoria, al sistema radio televisivo, alla riforma della Rai nel quadro della modernizzazione del sistema dell’informazione e della comunicazione.
C’è poi il problema della scadenza di questo Governo. Deciderà il Parlamento sul “tempo” a disposizione e su come definire la Delega richiesta dal Governo.
Un oggetto della delega complesso
Se si resta, il più possibile, nell’ambito di quanto previsto nel Disegno di Legge del Governo direi che il primo problema, che è, poi, la conferma di quanto detto, è proprio nella difficoltà di arrivare ad una adeguata definizione del Prodotto editoriale.
L’ editoria è complicata a dismisura: si sono moltiplicati i driver e non si riesce ancora a prefigurare le conseguenze di questa moltiplicazione sulle dinamiche degli stessi mezzi (a cominciare dalla scomparsa o conservazione della “carta”) così come sono tutte da esplorare le conseguenze che questa moltiplicazione avrà sui contenuti (perché è certo che mezzi diversi implicano declinazioni diverse dello stesso contenuto) ed è difficile da metabolizzare la necessità di professionalità diverse e poliversatili, comunque molto più liquide nelle loro “declaratorie” di quelle alle quali siamo abituati e legati .
Si sono, conseguentemente, dissolti i confini delle tipologie dei contenuti, sia per continua contaminazione, sia per processi di uniformazione e banalizzazione, indotti dalla ricerca di target in grado di contenere la contrazione delle vendite, sia dalle politiche di contenimento dei budget, sia, infine, per i ricondizionamenti dei rapporti di potere tra le professioni e i ruoli politici (intellettuali, potere politico e potere economico). La riprova di questo mutamento dei rapporti di forza è in questa irricevibile proposta di legge sulla diffamazione, non solo sui contenuti, ma sul modo in cui è nata ed venuta prefigurandosi senza riuscire a capire che si era superato il grottesco e che si sta competendo pericolosamente coll’Ungheria nell’illiberalità.
Una preoccupazione primaria: accrescere la domanda di lettura e di informazione
Un secondo problema con il quale questa riforma deve fare i conti è il fatto che si legge sempre di meno e che si può temere che la recessione, che ha aggravato il trend, non abbia effetti meramente congiunturali ma possa, in qualche modo stabilizzare le perdite più recenti (è difficile fidelizzare un lettore senza forti motivazioni -che sono la maggioranza-mentre è facilissimo perderlo).
Questo implica che prioritario deve essere incentivare la domanda si informazione e di lettura e che questa necessità deve diventare, a nostro parere, un criterio prioritario sul quale calibrare tutti gli interventi che la legge intende affrontare. Questo perché siamo assolutamente convinti che è un problema non risolvibile con una campagna, per quanto ben pensata, pubblicitaria. Occorre che i libri ed i giornali siano fin dalla prima scolarità una ovvietà come il diario scolastico e che sia abbiano consapevolezza che la lettura non si risolve nel solo libro di testo. Questo può significare campagne di voucher per gli studenti, magari legati al profitto; rafforzamento delle biblioteche scolastiche sopratutto con prodotti digitali (che hanno la capacità di essere più attrattivi e emozionali); qualificazione e valorizzazione delle biblioteche pubbliche; rafforzare le motivazione degli insegnanti ad accrescerne la fruizione dei prodotti editoriali standard e digitali; adeguare le strumentazioni scolastiche informatiche in grado di consentire tutto questo. È un ambito questo nel quale la legge potrebbe stimolare la collaborazione del privato favorendone il contributo, certamente, con incentivi fiscali, ma anche legando l’intervento pubblico proprio alla sussidiarietà privata e spronando le scuole a promuovere, così, partnership virtuose.
Un criterio generale: la salvaguardia del pluralismo
Se il primo criterio orientante la riforma è ampliare la domanda e renderla stabile, il secondo è la salvaguardia del pluralismo. Se infatti si passa dal lato dell’offerta editoriale, occorre tenere conto che la crisi, che colpisce in modo duro tutti i settori dell’editoria, sia libraria che dell’informazione, dà luogo a dinamiche solo in parte prevedibili e comunque tali, come si vedrà, da porre un problema diffuso e articolato nell’orientare le priorità e le disponibilità delle risorse, la salvaguardia (direi a qualunque costo) del pluralismo e al suo accrescimento.
Sul lato dell’offerta intanto sarebbe bene prendere atto che la crisi di vendita dei prodotti tradizionali è per il momento solo molto parzialmente compensata da quelli digitali. Occorre avere chiara questa asimmetria perché altrimenti si fa pura demagogia. Senza contare che le diverse manifestazioni del digital divide restano un problema, più che economico, sociale che deve essere affrontato (a cominciare dalla scuola!).
Ma il passaggio al digitale, lo sviluppo dell’editoria e dell’informazione digitale, è uno degli aspetti sui quali la legge deve fornire un solido sostegno. Non basterà proseguire negli interventi -che si è già cominciato ad affrontare con la recente L. 103/12 (decreto Peluffo)- che consentono alle imprese di realizzarlo rapidamente e in modo qualificato. Perché occorre avere altrettanto chiaro che in questa transizione si stanno innalzando le barriere tecnologiche che, per fare un esempio, la transizione al digitale di un giornale non può essere l’adozione della sua versione pdf e l’appostamento in un sito standard.
E occorre che la risposta non sia banale. Basta ricordare che la multipiattaforma ormai stabilmente comprende non solo i diversi device-fisso e mobile (anzi i mobiles)- ma integra oltre al giornale on line, la radio e la tv digitale, fino all’acquisizione sinergica di canali televisivi (che tra l’altro consentirà di dare uno sbocco all’opportunità consentite dal passaggio al digitale della televisione).
Questo significa incentivare investimenti in infrastrutture pesanti e leggere e riconversioni professionali che riguardano tutti gli operatori, ma, soprattutto, quelli più piccoli.
Come si vede se si deve –e si deve- affrontare questo adeguamento tecnologico, si pone con forza un problema di salvaguardare il pluralismo, soprattutto se questo ambito è, giustamente, ritenuto come un’area di business privilegiata per la nuova imprenditorialità.
Un problema simile si pone se si vuole –e si deve volere- aiutare l’editoria libraria digitale. Qui non solo occorrerà rimuovere penalizzazioni fiscali incongrue e ingiustificate, ma intervenire perché sia possibile in tempi rapidi, la digitalizzazione non delle nuove edizioni, ma dell’intero catalogo di ogni editore, senza il quale il suo peso commerciale è fortemente depotenziato. La digitalizzazione del catalogo che è operosissima, potrebbe -per un periodo limitato di tempo- essere incentivata per tutti, sapendo che questo aiuterebbe proprio gli editori più piccoli.
Sempre sul lato dell’offerta occorre tenere conto che la crisi dà origine a fenomeni apparentemente perfino contraddittori: da un lato, naturalmente, per rispondere alla crisi aumentano i processi riorganizzativi, sia societari che produttivi, dall’altro, sorprendentemente aumenta l’offerta imprenditoriale libraria e informativa, partendo dall’idea che quella esistente non sia in grado di intercettare i nuovi bisogni di una società in continua evoluzione, anche per la crisi in corso.
I processi di risposta alla crisi dal lato dell’offerta
E problemi di salvaguardia del pluralismo si pongono sul lato dell’offerta se si guarda, anche ai processi di razionalizzazione produttiva accelerati sempre da questa crisi senza fine.
Le conseguenze della “razionalizzazione” dell’offerta sono fenomeni di concentrazione societarie e di riorganizzazione dei processi produttivi che tendono, comunque, all’oligopolio. Il fenomeno nel nostro paese, come nel resto del mondo, riguarda sia il settore librario, che quello dell’informazione (si pensi soltanto alle “voci” su possibili “sinergie” tra la Stampa e RCS). La battaglia proprietaria in corso mostra come, rispondere ai problemi del mercato con la crescita delle dimensioni societarie ed industriali, implichi -nel settore dell’informazione, ma non solo- la conferma e l’accelerazione della finanziarizzazione del ceto proprietario, con una progressiva rarefazione degli editori puri. In questo campo Il prevalere della proprietà di banche e di grandi gruppi (ma anche di intermediari tecnologici) indica un evidente cambiamento degli interessi sottostanti agli investimenti in informazione (non tanto economici –visti i risultati- quanto politico lobbistici) e di rapporti con il potere politico. Anche queste dinamiche chiedono di essere tenute sotto controllo perché libri e giornali non sono una merce qualunque e tutti i processi che riducono gli attori sono processi che riducono il pluralismo e vanno nel nostro Paese contro la Costituzione.
Anche il processo di riorganizzazione produttiva comunque conduce agli stessi esiti oligopolistici (oltre ad avere spesso come esito la riduzioni del personale). Così è per il settore dell’editoria libraria attraverso il controllo soprattutto a valle della filiera distributiva fino al punto vendita che, se garantisce maggiori vantaggi all’editore, si traduce in una competizione impari con i punti vendita indipendenti o con le stesse catene commerciali non proprietarie. Ma soprattutto pone problemi reali all’editoria minore, che deve fare i conti con una rete di vendita che ha come primo problema la diffusione e la commercializzazione del prodotto proprietario.
Il risultato è, anche qui, un pericolo per il pluralismo perché il controllo della distribuzione non aiuta la differenziazione dell’offerta e soprattutto il suo consolidamento.
Un pericolo simile si sta realizzando anche per la stampa quotidiana e periodica con la destrutturazione della catena distributiva e la sua progressiva concentrazione e dipendenza dai grandi gruppi editoriali ponendo problemi che solo parzialmente sono stati affronti in tempi recenti e che saranno ancora peggiori se non si arriverà ad una reale digitalizzazione delle edicole e ad una ridefinizione del servizio universale che è la condizione ancora una volta per il pluralismo.
Un fondo per assecondare ristrutturazioni e adeguanti tecnologici.
Tutto quanto detto, sia pure succintamente, mostra con chiarezza che se si vuole affrontare realmente la riforma di questo settore occorre un respiro e una volontà alta e complessiva in grado di dare realmente una strumentazione in grado di assecondare e sostenere questi processi di trasformazione. Occorrono visione strategica e risorse, capacità di promuovere il cambiamento nell’offerta e nella sua qualità. Lo si può fare con un fondo ad hoc o ricorrendo, come nel passato, (si pensi alla Legge 62 del 2001) ad una articolazione all’interno dell’attuale Fondo per l’editoria.
Ma occorre, anche, se si vogliono salvare imprese e posti di lavoro, sostenere la riqualificazione delle professionalità (non facile proprio per la crescente multifunzionalità richiesta) e i processi di uscita delle professionalità non riconvertibili.
In questo ambito occorrerà, coordinandosi con altre leggi che favoriscono gli start up, porsi il problema di promuovere nuova imprenditorialità, che non è, per quanto appena detto, solo giovanile. Un primo passo è stato fatto nella Legge 63/12 (Decreto Peluffo) ma occorrerà intervenire,anche, per favorire la capitalizzazione e gli investimenti in modo da consentire di superare le criticità tipica delle neo imprese nei primi tre-cinque anni di avvio. La forma cooperativa con il coinvolgimento diretto dei soci può rappresentare in questo ambito un veicolo funzionale al processo di imprenditorializzazione, sia temporaneo che definitivo, consentendo anche di ampliare i ricorrenti al Fondo per l’editoria cooperativa, non profit e di idee.
Un Fondo per il sostegno all’editoria autogestita non profit
Già solo le modifiche delle basi societarie sopra richiamate, giustificherebbero una politica volta a sostenere una offerta editoriale che garantisca la figura dell’editore puro. Ma ci sono anche altre dinamiche che meritano di essere prese in considerazione. L’insistenza sul pluralismo è anche un modo per suscitare attenzione al problema della qualità dell’informazione: un’informazione critica, aperta, plurima: un’informazione di inchiesta e non di corte.
Non si possono, dal punto di vista del legislatore, introdurre criteri discrezionali, ma è certo che tutti riconoscono un nesso forte tra qualità dell’informazione e professionalità del giornalista ed è certo che se questa professionalità si esprime anche attraverso la proprietà della testata si avranno, ancora, maggiori indizi di autonomia e di indipendenza. Così pensava in modo, preveggente, già il Legislatore negli anni ’80, così si orienta la migliore informazione mondiale che privilegia i blog e la fornitura di informazione in cui si mette in gioco “la faccia” di chi confeziona la notizia o il commento.
L’editore cooperativo e l’editoria non profit (in tutte le sue manifestazioni) rappresentano, dunque, una componente fondamentale nel panorama dell’offerta informativa (cartacea o digitale che sia) che deve essere salvaguardato.
In questo senso il Fondo per l’Editoria non appare uno strumento superato, o parassitario, ma strategico. Delimitato della sua destinazione proprio a queste forme di produzione di informazione ritenute meritevoli di sostegno per il loro contributo ad una editoria autogestita indipendente, qualificato (sul lato del gradimento dei lettori) e organizzato (perché non consenta parassitismi) anche più di quanto non si sia lodevolmente fatto fino in questi mesi, deve però essere adeguato alla natura dei compiti che deve tutelare. Occorre ricordarsi che l’informazione anche quando è resa dalla cooperativa o dal non profit è sempre un’impresa che deve essere messa in condizione di assumersi i rischi e le scelte imprenditoriali che non possono essere legate alla precarietà del contributo pubblico alla sua conoscenza ex post, perché è così che si finisce per accreditare la natura assistenzialistica dell’intervento. Occorre che il Fondo abbia un respiro triennale che consenta una minima certezza sul suo ruolo nelle politiche aziendali e che sia coordinato con le altre forme di intervento (incentivi al digitale, alla creazione di nuove imprese di giovani, ecc.) che si aperto anche alle nuove forme di produrre informazioni.
La nuova legge sull’editoria dovrebbe anche favorire l’emergere e il consolidarsi di una domanda diffusa e civile di informazione sia essa singola o organizzata nel non profit, già presente e molto attiva in altri paesi di cui “Pro Pubblica” americana è il riferimento più noto, anche perché potrebbero rappresentare un contributo significativo a sostegno dell’informazione e della cultura. (Vale la pena ricordare che due Ong come Msf, Save the children hanno risorse destinate all’informazione per 1,3 mld di dollari)
Il ruolo e il contributo della pubblicità:
Ma la “madre” di tutti gli squilibri del mercato editoriale è, però, la pubblicità che l’attuale crisi economica ha ulteriormente esasperato.
Il crollo della pubblicità, infatti, si innesta -e aggrava- gli squilibri cronici del mercato pubblicitario del Paese, drogato, da decenni, dalle politiche di dumping svolte dai principali attori sulla comunicazione televisiva sulla base di un costo dell’inserzione pubblicitaria praticata dalle televisioni relativamente basso, dovuto dalle quantità consentite e dall’assenza di controlli sugli sforamenti praticati dagli operatori. Questo ha condotto ad una ripartizione delle risorse pubblicitarie squilibrata in un modo insopportabile e non commisurabile con quanto avviene negli altri paesi. Ricordo che si è arrivati ed attestati nel 2010 su percentuali superiori al 61% (dati SIC 2012) a favore della Tv.
Non è possibile, dunque, una riforma dell’editoria che non si occupi del riequilibrio del mercato della pubblicità sanando questa distorsione attraverso la riduzione dei tempi disponibili (e costruendo efficaci forme di controllo e penalizzazione degli sforamenti). Se non ci fossero le condizioni per un intervento strutturale occorrerà necessariamente assumere iniziative in grado di riequilibrare la distribuzione delle quote, introducendo, per esempio, un prelievo compensativo da destinare al settore della carta stampata.
C’è da ricordare, a ulteriore conforto della necessità di sostegno all’informazione cooperativa, non profit e di idee, che anche la quota della pubblicità destinata all’informazione sulla carta stampata è essa stessa squilibrata a vantaggio dei grandi gruppi. Essere un’editoria spesso non conforme, critica, non controllabile anche indirettamente, diviene un criterio escludente nella distribuzione della domanda pubblicitaria. Una riprova si avrà quando si vedrà se il superamento del limite del 35% della pubblicità recentemente soppresso per l’editoria cooperativa e non profit, ha consentito di realizzare incrementi significativi di inserzioni.
Diritto d’Autore
Correttamente la delega prevede un intervento sul diritto d’autore. In realtà occorrerebbe preoccuparsi anche dell’apertura delle reti ma non è questa la sede propria.
Il diritto d’autore è un problema molto più complesso di quanto non venga sostenuto dal mondo delle imprese. La produzione di beni culturali (che sono, al di là di quanto si crede, sempre in qualche modo innovativi) è cresciuta con il crescere dei sistemi relazionali (culturali) che sono la condizione dell’innovazione, ed ha goduto dell’estrema apertura delle reti e la conseguente disponibilità immediata e diffusa dei “prodotti” (culturali).
Questi fattori rendono più difficile che nel passato l’identificazione e l’attribuzione esclusiva della “paternità” del prodotto editoriale e la conseguente appropriazione dei diritti di valorizzazione. Senza dimenticare che l’ampiezza delle riserve poste alla diffusione può essere fattore che ritarda l’innovazione, come recenti vicende che riguardano Apple e Samsung dimostrano (c’è il vantaggio per il titolare ma c’è uno svantaggio per la comunità).
La società contemporanea è caratterizzata come mai nel passato dalla traslazione dei diritti di valorizzazione dei prodotti culturali dagli autori ai soggetti che gestiscono i midia. Il diritto d’autore diventa così in realtà il terreno di una battaglia tra media (la carta vs il bit, editori vs provider). A volte questa rivendicazione arriva a rasentare l’autolesionismo come appare il caso della Germania o quello del Brasile.
È certo che occorra riconoscere a chi ha prodotto contenuti esibiti da “terzi” su internet un compenso e che non sia lecita la messa disposizione dell’intero prodotto culturale con una gratuità non consentita dal depositario dei diritti di autore, ma è altrettanto certo che sarebbe un danno per l’editore -ma anche per la società- escludersi dalla rete.
In tal senso sembra assolutamente corretto riconoscere, normativamente, un compenso ai produttori di contenuti da parte di tutti i soggetti che questi contenuti aggregano e mostrano o mettono a disposizione di terzi, come nel caso delle Rassegne Stampa cartacee o digitali che siano.
Ma è altrettanto corretto salvaguardare l’utilità e il diritto di diffondere prodotti culturali dandone notizia e riportandone estratti come, d’altra parte, la legislazione attuale sul diritto d’autore consente.
COMUNICATO STAMPA
ALLEANZA COOPERATIVE ITALIANE SETTORE COMUNICAZIONE: CHIUDERE 90 TESTATE E LICENZIARE 3/4000 LAVORATORI, SAREBBE UNA PESSIMA RIFORMA DELL’EDITORIA
Roma, 20 novembre 2012 - “Parlare di riforma dell’Editoria vuole dire bloccare la manovra di svuotamento del Fondo editoria avviata da Tremonti e in via di completamento da parte di questo governo” ha dichiarato M. Salani in apertura dell’Assemblea per l’Editoria Cooperativa, non profit, promossa dall’Alleanza delle Cooperative della Comunicazione, dall’Uspi, dalla Federazione dei Periodici cattolici, dal Sindacato CGIL dei Lavoratori della Comunicazione, dalla Federazione nazionale della Stampa, da Articolo21 e dal Comitato per la libertà e il diritto all’Informazione alla cultura e allo spettacolo. È certo che se non si ottiene un adeguamento del Fondo per l’Editoria, la riforma è già fatta: perché non ci sarà nessuno da riformare. Il risultato sarà la messa in liquidazione di numerose testate nazionali e locali, prestigiose e fortemente radicate: quasi 500mila di copie giornaliere in meno e circa 4000 lavoratori espulsi e in Cassa integrazione. Davvero una bella riforma! Un “pezzo” dell’informazione del Paese, quella autogestita, non condizionata dalle banche, né dalle imprese scomparirà, con effetti gravi sul pluralismo proprio in un momento in cui più forte si fa la richiesta di un pensiero autonomo, di critica, di inchiesta e non “di corte”. Se non si interviene, a nulla saranno valse le parole preoccupate del Presidente della Repubblica e dello stesso Presidente Monti, così come i ripetuti ordini del giorno della Camera e la Risoluzione recentemente votata dalla Commissione Cultura della Camera con il parere positivo del Governo. Lo hanno ribadito i deputati De Biasi, Goisis, Giulietti, Levi, Verducci ed il senatore Vita che hanno partecipato all’iniziativa anch’essi preoccupati di una chiusura che non può che fare male a tutta l’informazione del Paese.
Alleanza delle Cooperative italiane della Comunicazione:
AGCI-Culturalia, Federcultura-Confcooperative, Mediacoop-Legacoop
COMUNICATO STAMPA
ALLEANZA DELLE COOPERATIVE ITALIANE SETTORE COMUNICAZIONE.
EDITORIA: UNA SVOLTA E’ POSSIBILE
Roma, 20 novembre 2012 - Dopo tanti anni di inutile attesa, quella della Delega al Governo, all’esame del Parlamento, potrebbe essere l’occasione utile per varare la riforma dell’editoria e del sistema italiano dell’informazione nel suo complesso. È la sintesi operata dal M. Salani a nome dell’Alleanza delle Cooperative Italiane settore Comunicazione nell’assemblea dell’Editoria Cooperativa e non profit , che si è svolta oggi. Nel merito del provvedimento, in discussione presso la Commissione Cultura alla Camera, il Presidente di ACI Comunicazione ha avanzato alcune specifiche proposte. In primo luogo si tratta di ricomporre le competenze in materia, oggi sparse in più sedi, all’interno del Dipartimento della Presidenza del Consiglio. Sarebbe così possibile operare in un contesto unitario (radio, TV, carta stampata, internet) per l’avanzamento della multimedialità. Si tratta di dar vita ad un Fondo Unico per il sostegno a tutti i processi di trasformazione in corso, favorendo da un lato,l’ingresso di nuovi operatori, attraverso il sostegno allo start up e dall’altro, l’accompagnamento di tutti i processi di ristrutturazione e di innovazione anche con un rafforzamento degli ammortizzatori sociali e degli investimenti in formazione. Occorre adeguare l’attuale Fondo Editoria anche alla luce dei nuovi e più stringenti criteri di assegnazione delle risorse, per conservare la figura dell’editore puro e sopperire alle distorsioni del mercato a cominciare da quello pubblicitario. Occorre, infatti, per trovare un più corretto rapporto della pubblicità con i diversi media. Sempre più ampia, infatti, è la convinzione, tra le forze politiche e sociali, di superare l’esperienza del SIC e di stabilire nuove regole del mercato della pubblicità, anche attraverso adeguati tetti antitrust. In conclusione, ha affermato Salani, si tratta di uscire dalla politica dei tagli che, avviato il processo di risanamento delle risorse pubbliche, non può che lasciare il posto agli investimenti necessari per dotare il paese di un sistema informativo, pluralista, autonomo e di qualità. Un sistema, dunque, capace di contribuire all’affermazione di una lettura critica dei processi reali in corso all’interno della società italiana.
Alleanza delle Cooperative italiane della Comunicazione:
AGCI-Culturalia, Federcultura-Confcooperative, Mediacoop-Legacoop“LA RIFORMA DELL'EDITORIA TRA TECNOLOGIE E PLURALISMO”
Martedì 20 novembre, alle 9,30 nella Sala cristallo dell'Hotel Nazionale a piazza Montecitorio 131 a Roma si svolgerà un convegno organizzato da Mediacoop, Fnsi, Comitato per la libertà e il diritto alla informazione, alla cultura e allo spettacolo, Articolo21, Slc-Cgil, Fisc, Agci, Confcooperative Federcultura, e Uspi. Introdurrà la discussione Primo Salani mentre Ricardo Franco Levi affronterà la questione degli ambiti e dei contenuti della delega al Governo. Seguirà il punto di vista degli operatori con: Caterina Maria Bagnardi, Massimo Cestaro, Fulvio Fammoni, Franco Siddi, Francesco Vetere e Fracesco Zanotti.
Il punto di vista del legislatore sarà, invece, sviluppato dai parlamentari: Luigi Grillo, Vincenzo Vita, Emilia De Biasi, Giuseppe Giulietti, Giuseppe Lainati, Enrico Rivolta e Francesco Verducci.
Nell'alta mattinata, prima delle considerazioni finali, è previsto l'intervento del Sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Paolo Peluffo
IL PROGRAMMA
La riforma dell’editoria tra tecnologie e pluralismo
Roma, 20 novembre 2012
ore 9.00-14.00
SALA CRISTALLO - HOTEL NAZIONALE
PIAZZA MONTECITORIO, 131 - ROMA
ore 9.20 – Una delega tra opportunità e preoccupazioni, Primo M. Salani (Alleanza Cooperative Italiane);
ore 9.40 – Ambiti e contenuti della Delega al Governo, on. Ricardo Franco Levi;
ore 10.00- Il punto di vista degli operatori; Caterina Maria Bagnardi (FILE); Massimo Cestaro (SLC-CGIL); Fulvio Fammoni (CLEDICS); Franco Siddi (FNSI); Francesco Vetere (USPI); Francesco Zanotti (FISC);
ore 11.00 – Il punto di vista del Legislatore: sen. Luigi Grillo;
sen. Vincenzo Vita; on. Emilia De Biasi; on. Giuseppe Giulietti; on. Giuseppe Lainati; on. Erica Rivolta; on. Francesco Verducci;
ore 12.30 – Intervento del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Cons. Paolo Peluffo;
ore 13.30 – Considerazioni Finali
VALUTAZIONI DELLA FEDERAZIONE NAZIONALE DELLA STAMPA ITALIANA
Camera dei Deputati
Commissione Cultura, Scienza e Istruzione
Audizione sul disegno di legge delega (5270), presentato dal Governo in materia di sviluppo del mercato editoriale e di ridefinizione delle forme di sostegno e sulla proposta di legge (5116) aventi ad oggetto: disposizioni in materia di contributi in favore dell’editoria e di pubblicazioni periodiche diffuse per via telematica
4 ottobre 2012
La Federazione Nazionale della Stampa Italiana conferma il suo giudizio positivo sulla necessità di procedere con la massima tempestività all’approvazione del disegno di legge delega al Governo in materia di sviluppo del mercato editoriale e di ridefinizione delle forme di sostegno. La permanente situazione di crisi del settore editoriale richiede infatti interventi legislativi da realizzare inderogabilmente nella vigente legislatura e da parte dell’attuale Governo in carica.
La crisi dell’editoria e la situazione italiana
La crisi dell’editoria in questi anni è stata drammatica. Le continue irrefrenabili innovazioni della tecnologia hanno creato un mercato parallelo dell’informazione, quello di internet e dei blog (decisamente differenti, ma nello stesso tempo spesso simili all’informazione professionale), che non ha barriere nazionali, che non ha vincoli temporali, che non ha costi di produzione e di diffusione. Una concorrenza quasi “sleale” con la carta stampata sempre gravata da costi crescenti di produzione e di diffusione. Anche la concorrenza dell’emittenza radio televisiva, sia quella nazionale con l’invasione del satellitare, sia quella locale, ha finito per creare problemi all’editoria stampata. A sua volta, il passaggio dall’analogico al digitale ha messo in gravi difficoltà tutta l’area dell’emittenza radio televisiva di ambito locale, che ha sempre strutturalmente sofferto per le ridotte dimensioni dei singoli operatori, ed ha moltiplicato quasi all’infinito l’offerta informativa. Questo scenario sconfortante per la carta stampata, che ha interessato tutto il mondo occidentale, è stato ulteriormente aggravato da una crisi economica mondiale di vaste proporzioni che ha investito tutti i settori produttivi e che ha avuto come prima e immediata conseguenza un drastico ridimensionamento del mercato pubblicitario, proprio quello dal quale dipendono le sorti di tutti i mezzi di comunicazione di massa.
Ormai da troppo tempo, la riduzione della pubblicità e delle vendite è constante. Nel solo 2009 (anno di maggiore crisi) i quotidiani hanno perso il 16,4% delle entrate pubblicitarie e i periodici il 29,3%. In entrambi i comparti editoriali è proseguita la perdita di ricavi nei bilanci degli anni successivi. Sul fronte delle vendite i quotidiani hanno perso nel 2011 il 6%, una percentuale simile a quella del 2009. Un dato significativo è la contrazione del margine operativo lordo delle aziende editrici di quotidiani sceso nel 2011 del 29,6% rispetto all’anno precedente.
Identico il risultato negativo dei periodici che continuano a perdere copie e pubblicità dal 2007, anno in cui è iniziata la perdita di copie con un -2%, passata nel 2008 a un -3,9% e nel 2009 a un pericoloso -9%, proseguito nel 2010 con un -2,3% e nel 2011 con un -3%. La tendenza alla perdita di copie vendute si è ulteriormente accentuata nel primo semestre del 2012 con prospettive di chiusura a fine anno pessime. Lo stesso andamento negativo ha riguardato il gettito pubblicitario dei periodici che ha registrato nel 2008 un -5,7%, passando nel 2009 a un disastroso -29,1% e continuando nel 2010 con -2,1% e nel 2011 con -2,7%.
Le strategie editoriali spesso non si sono rivelate lungimiranti e una loro visione, limitata talvolta solo agli aspetti ragionieristici, concorre a rendere precaria la prospettiva.
La lunga e pesante crisi, il cui tunnel ci troviamo ancora a percorrere e di cui non si intravvede l’uscita, se da un lato ci pone l’interrogativo di come uscirne, dall’altro ha comportato una devastante conseguenza sul piano sociale. Le aziende editoriali di fronte a una crisi senza un orizzonte immediato di uscita hanno impostato la loro strategia sul piano del contenimento dei costi e, quindi, inesorabilmente sulla riduzione degli organici redazionali, con l’inevitabile impoverimento della qualità dell’informazione. La Federazione della Stampa ha dovuto, perciò, affrontare il problema delle crisi aziendali, degli ammortizzatori sociali, per evitare impatti drastici e dolorosi e della salvaguardia delle strutture previdenziali e assistenziali di categoria messe a dura prova dalla crescita improvvisa ed esponenziale di giornalisti in disoccupazione, in cassa integrazione, in solidarietà o in prepensionamento.
Gli effetti della crisi hanno determinato l’uscita dalle redazioni per pensionamenti anticipati, esodi incentivati e licenziamenti per cessazione di attività di oltre mille giornalisti.
Come intervenire?
In questo quadro desolante la Federazione della Stampa, ritiene che sia non solo urgente approvare il disegno di legge delega del Governo, ma anche inserire nel testo di legge alcuni aspetti normativi che appaiono largamente condivisi dalle forze politiche parlamentari e che, se approvate tempestivamente, possono garantire prospettive di ripresa del settore. Tra questi, in particolare, si chiede di inserire nel testo di legge:
a) l’applicazione agli abbonamenti a testate periodiche telematiche registrate ai sensi dell’art. 5 della legge 8.02.1948 n. 47 dell’aliquota Iva al 4%, al fine di uniformare i termini fiscali nel settore della produzione informativa.
b) Il ripristino del credito agevolato alle aziende editoriali (già previsto nella legge n. 416/1981 e nella legge n. 62/2001), fermo al 2003, che può garantire la trasformazione del settore e lo sviluppo multimediale.
c) La specificazione che il complesso delle risorse destinate al sostegno dell’editoria (130,9 milioni per il 2013 e 143,8 milioni per il 2014) sia depurato da oneri impropri (es. ratei di rimborso alla società Poste Italiane S.p.a., pagamento di servizi aggiuntivi alla Rai, contributi alle radio e alle televisioni, ecc.).
Su quest’ultimo punto appare necessaria una riflessione ulteriore. Senza l’individuazione e la definizione di risorse economiche, il settore editoriale rischia di essere travolto dagli effetti della crisi con ripercussioni gravissime sul pluralismo dell’informazione e sui livelli dell’occupazione. La questione centrale è, quindi, ancora una volta quella di garantire risorse adeguate al settore.
Le risorse
L’affermazione contenuta al punto 3 dell’art. 1 del disegno di legge che “l’attuazione della delega di cui ai commi 1 e 2 non deve determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” necessita di un chiarimento. Occorre definire con certezza quale sia, anche per l’avvenire, la dotazione annua del fondo per l’editoria. Ciò premesso, questa Federazione propone che, ferme restando le risorse già destinate al fondo per l’editoria, le stesse siano incrementate attraverso un prelievo, in minima percentuale, su: a) la pubblicità radiotelevisiva pubblica e privata; b) gli interventi a sostegno delle attività socio culturali delle fondazioni bancarie; c) il 5 per 1000 destinato ad attività non lucrative di carattere sociale.
In merito si sottolinea che un prelievo sul monte pubblicitario della radiotelevisione pubblica e privata darebbe una risposta seria e realistica alla questione dello squilibrio pubblicitario tra televisione e carta stampata in Italia, che ancora oggi risulta una anomalia in campo internazionale.
Basterebbe il prelievo di una modesta percentuale sulle voci sopra indicate per finanziare in termini adeguati il fondo per l’editoria che in questo modo potrebbe garantire non soltanto i contributi diretti alle testate di cooperative e fondazioni ma anche quelli indiretti legati alla diffusione postale, oggi soppressi, oltre che sostenere gli interventi di socialità per la lotta al precariato e al finanziamento degli ammortizzatori sociali, e finanziare il sostegno all’innovazione tecnologica e alle aziende in start up.
Giornali di idee e stampa italiana all’estero
Sul punto relativo alla riforma dei contributi, mentre conveniamo sulla necessità che siano parametrati agli effettivi livelli occupazionali e alle copie effettivamente vendute (come, peraltro, già recepito nel regolamento per l’editoria in vigore), riteniamo che vadano comunque salvaguardati i contributi ai giornali di idee, che non abbiano scopi lucrativi, e alle testate di lingua italiana pubblicate all’estero: si tratta, infatti, di aree pur minoritarie, in termini di diffusione, ma essenziali per il pluralismo, che non perseguono fini commerciali e per le quali vanno individuati specifici e diversi criteri di intervento.
Diritto d’autore
La legge delega prevede, tra l’altro, che si ridefinito il quadro delle competenze in materia di diritto d’autore. In merito vogliamo porre l’accento su un fenomeno ormai largamente diffuso, che registra la riproduzione mediante fotocopiatura, con diffusione audio televisiva o con elaborazione elettronica di articoli di giornali quotidiani e periodici, attraverso la confezione di rassegne stampa, che non ha alcuna regolamentazione normativa nel quadro dell’ordinamento giuridico vigente. Questa libera utilizzazione determina un consistente danno economico sia alle aziende editrici sia ai giornalisti. E perciò assolutamente indispensabile un intervento legislativo per la regolamentazione della “utilizzazione seconda” dei materiali giornalistici a stampa, mediante una integrazione dell’articolo 65 della legge 22 aprile 1941 n. 633 del diritto d’autore, nel quale prevedere che tutti i soggetti i quali diffondono rassegne stampa elaborate e composte in proprio o tramite terzi e realizzate con fotocopiatura o con sistemi elettronici digitali di articoli di giornali o testate periodiche, cartacei audiovisivi o telematici, hanno l’obbligo di corrispondere un compenso agli autori ed agli editori degli articoli ad esse riprodotti. La definizione degli oneri e le norme di ripartizione dovrebbero essere attribuite alla siae, d’intesa con i soggetti rappresentativi delle categorie di settore, di parte sia editoriale che giornalistica. In alternativa si potrebbe prevedere che il compenso derivante dalla reprografia sia versato integralmente o in parte all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI) per concorrere alla copertura degli oneri derivanti dall’applicazione delle norme sugli ammortizzatori sociali previsti dalla legge sull’editoria.
Su questo punto, in ogni caso, dobbiamo esprimere con chiarezza la nostra posizione manifestata anche nel corso del recente incontro, ovvero che la Federazione della Stampa, pur comprendendo le contingenti esigenze di riduzione complessiva delle uscite nel bilancio dello Stato, ritiene che un ulteriore abbattimento del livello degli interventi economici a sostegno dell’editoria sia assolutamente inaccettabile e che debbano, al contrario, essere ripristinati i precedenti livelli di intervento economico. Per intenderci, regole nuove e trasparenti non possono giustificare un arretramento dello Stato nei confronti di un bene pubblico quale è l’informazione.
La professione giornalistica
A parere della Federazione della Stampa un intervento legislativo sull’editoria non può in alcun caso trascurare aspetti rilevanti legati all’esercizio della professione giornalistica, che è caratterizzata sempre più da un elevato ricorso a prestazioni di lavoro di natura autonoma, che non hanno tutele legislative e contrattuali. La Federazione della Stampa chiede che siano realizzati i seguenti interventi:
Prevedere incentivi fiscali a favore delle aziende editoriali in presenza di assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato. Prevedere che la contribuzione previdenziale dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) sia portata dalla gestione separata alla gestione principale dell’Inpgi, in modo da facilitare la costruzione di un unico canale previdenziale per una fascia di lavoratori che sempre più cumula periodi di lavoro subordinato a periodi di lavoro parasubordinato. Prevedere l’innalzamento della quota contributiva a carico della aziende utilizzatrici per le prestazioni giornalistiche rese in regime di autonomia professionale (freelance).Roma, 4 ottobre 2012